365 giorni, Libroarbitrio

Loop infame – Lindze

 

lucifero-roberto-ferri

Ieri notte ho visto una
solitaria stella cadente
finire la sua
discesa nella gloria
di un cielo notturno
ho espresso
il mio desiderio
con un ghigno sghembo
e infame sul volto

di non voler vedere
soddisfatti i sogni
delle altre persone che
come me
in quella notte
di vento e di veglia
l’avessero scorta
nella sua meravigliosa
parabola

poi mi sono seduto
a fumare,
aspettando
la fine del mondo.

365 giorni, Libroarbitrio

“Er Canaro” Lollo

Ezechiele 7:8
Ora, tra breve, io spanderò su di te il mio furore,
sfogherò su di te la mia ira,
ti giudicherò secondo la tua condotta,
ti farò ricadere addosso tutte le tue abominazioni.
Venere

Je disse d’entrà ner negozio e de sbrigasse
tempo nun c’era: da fasse cotta e magnata
si voleva li sordi e la coca toccava arangiasse:
nella gabbia der cane che j’aveva acchitata
fu facile ‘nfilaccelo drento: che ora pagasse.

Mo se lo spizzava, dopo avello ‘ngabbiato
nun je faceva più paura Giancarlo
Pietro tirò tre strisce de coca ‘nvasato
co’ ‘n testa da faje der male l’unico tarlo:

giorno de sangue quer diciotto febbraio
ner quale ‘n conto sarebbe stato sardato,
‘n quer negozio sarebbe esploso ‘n carnaio
covato ner tempo, studiato e  pensato
da ‘n poro cristiano: da vittima a macellaio:

Pietro De Negri detto er Canaro, brava persona,
facile confonne la dorcezza pe’ debolezza,
in quella fottuta Magliana abusiva e accattona,
Giancarlo era er sovrano: e Pietro monnezza.

Er cristo ‘na vorta oppressore, ora strillava
er Canaro rabbioso arzò lo stereo a palla
alle grida de rabbia la musica se mescolava
e mentre er piano scattava senza ‘na falla,
a Pietro De Negri ‘na furia omicida montava.

Fece svenì quell’infame co’ benza e tortore
lo legò come se faceva co’ ‘n cane rabbioso,
quante vorte chissà aveva sognato l’orrore:
nessun indugio per quer lavoro mostruoso.

Dieci, dieci mesi de galera senza avè parlato
pe’ la rapina cui lo aveva costretto Giancarlo:
aspettando de uscire  pe’ esse accettato,
spartisse er bottino e poi ‘nfine abbracciarlo,
mette punto a ‘na storia che lo aveva sfiancato.

Invece finita la pena la moje se n’era già annata,
da Giancarlo arimediò antra violenza e disprezzo:
lo aveva pure pistato davanti sua figlia adorata,
se fissava allo specchio provanno ribrezzo:

Ogn’uomo c’ha ‘n limite che nun se deve  varcare
e ormai er Canaro aveva superato quer segno
troppi soprusi aveva subito senza  fiatare,
ma ora Giancarlo avrebbe pagato quer pegno:
nun ci aveva più gnente ormai da potè barattare.

E mo’ j’aspettava ‘n lavoro de cortello e de foco
a pezzi a Giancarlo voleva smontare
pe’ fasse giustizia e porre fine ar quer gioco,
fa’ l’omo e fatte ‘na vorta pe’ tutte  rispettare.

Giancarlo, ‘ncatenato, dar dolore arinvenne,
senza più dita: j’erano state de netto tranciate,
er Canaro le ordinava sur banco solenne
e ner mentre che ‘ntanto lo scherniva a risate
la vittima implorava: pe’ sarvasse le penne.

“Chi è mo l’omo brutto bastardo?” je urlava
su e giù per locale, totarmente ‘navasato
lo fece de novo svenire e mentre pippava
je tajò la lingua e pezzi de faccia infuriato.

Poi guardò l’orologgio: ora d’uscita de scola
chiuse bottega come si fosse tutto normale
prese la moto pe’ annà prenne l’amata figliola
nessun segno sur viso de quella furia animale
solo ‘na calma glaciale: nessun antra parola.

Giancarlo ‘ntanto aspettava ner tormento e terore
e ner buio de quell’inferno come ‘na foja tremava
chi era quell’omo che je stava a da’ quer dolore?
nun sapeva più gnente, solo frignava e  pregava.

Quando la porta s’aprì, rivide er suo vorto
e Giancarlo capì che er demonio era tornato
cominciò a singhiozzare totarmente sconvorto:
ma stava sognando oppure s’era svegliato?
nun lo sapeva, er dolore lo aveva stravolto.

Er Canaro inveendoje contro prese ‘n cortello
je calò le braghe con sguardo folle, scocciato
tajò er cazzo e le palle e cauterizzò quer macello
e poi je ‘nfilò ‘n bocca quer trancio ‘nsanguinato.

De Giancarlo quelli furon gli ultimi istanti de vita,
ma er Canaro continuava a sfogà la sua pazzia,
prese li moncherini che j’aveva tajato dalle dita
glieli ‘nfilò nell’occhi e ner culo: ‘n preda alla follia.
Poi se placò: come ‘na tempesta l’ira era svanita.

Allora spense lo stereo e calò ‘n silenzio tombale,
er Canaro cor fiatone fissava la follia della scena:
provava grande stanchezza dopo la furia animale
mai però avrebbe provato ‘n’ accenno de pena.

Trovarono er corpo de Giancarlo s’un prato
fu facile pe’ le guardie risalire ar corpevole
Pietro nun chiese sconti de pena carcerato
se dichiarò sempre dell’omicidio consapevole:
fosse ritornato lì lo scempio avrebbe reiterato.

L’animo umano è luogo inospitale, concetto inesplorato:
Bene o Male categorie ‘nvetate pe’ consolazione
fora de galera er Canaro volle esse dimenticato:
che nulla c’è, né Dio né Demoni: nun c’è redenzione
semo esseri soli, circondati da n’ Abisso scellerato.

365 giorni, Libroarbitrio

Charles Baudelaire “Dedico questi fiori malsani”

“Ho più ricordi, dentro, che se avessi mille anni.”

Daniele De Luca acrilico su tela

La stoltezza, la brama, l’errore, la ferita
ci possiedono al punto che ne siamo stremati:
ci attacchiamo ai rimorsi da noi alimentati
come fa il mendicante col verme parassita.

Satana Trismegisto sul cuscino del male
cullandoci lo spirito ci tiene in suo potere
e quel raro metallo che è il nostro volere
con sapiente alchimia a vapore rende eguale.

Regge il Diavolo i fili di queste marionette!
Il fascino avvertiamo di ogni oggetto più basso
e ogni giorno all’Inferno discendiamo d’un passo
senza orrore avanzando dentro tenebre infette.

Come un vizioso povero che sbaciucchia e divora
d’una sfatta puttana il seno martoriato
vogliamo prendere al volo un piacere celato
e forte lo spremiamo com’arancia insapora.

Formicolante e fitta come vermi in fermento
nella testa ci danza un’orda di demòni,
e quando respiriamo, la Morte nei polmoni
scende, invisibil fiume, con un fioco lamento.

In mezzo ad avvoltoi basilischi scorpioni
vipere linci scimmie sciacalli, in mezzo a mostri
che grugniscono latrano s’avventano con rostri,
nell’infame serraglio di vizi e di passioni,

uno ce n’è più basso più maligno più immondo
che volentieri senza gesto alcuno né chiasso
della terra farebbe un immenso sconquasso
e in un solo sbadiglio ingoierebbe il mondo:

la Noia. Un pigro pianto per oscuro fardello,
sfumacchia il narghilè  sopra morti e patiboli.
Di quel mostro impalpabile tu sai, lettore, i triboli,
ipocrita lettore, mio simile, fratello.

“- Non hai paura di morire qui, in questo mio cazzo di casino?
– Morire qui con te sarà il più dolce vivere dolore della mia vita  “

365 giorni, Libroarbitrio

Ipnosi

Roma 25 marzo 2014

 

I demoni di S.Pietroburgo 2

La notte sveglia obbliga gli animi a dimenarsi nel buio tetro che scintilla blu lingue scalpiccianti contro palati senza melodia divaricando bocche mute, sembrano volermi mordere, e invece loro vogliono dire, ma io sorda nulla ascolto scivolare dal loro fiato, e il giorno fragile è già adepto interminabile, li vedo sparpagliarsi come pecore perse, mi vedo abbracciare l’albero più maestoso che esista, e seppur io sia immobile a lui avvinghiata, le sagome di cartone ritagliate affettano la mia carne e in questo momento che la memoria è la mia padrona la mente ne fugge correndo nella casa che ho per lei creato.
L’osservo arrivare stremata sull’uscio, aprire la porta. E. Precipitare, nulla trovando.

– Poverina- , glielo dico, ve lo giuro, – Poverina-.

Avveleno il mio cuore ripetendomi se non fosse stata vita lo stesso il non voler ricordare
rimanere nel limbo di racconti altrui
e crederci.

Chi sarei allora?
Io non sarei io forse
pure se io non so chi sono?
Allora m’avveleno cercando ricordi
strizzandoli e bevendone delle mie meningi
e alla mensa della domenica prego:

O mio Dio
o mio Signore
nulla è dolore insostenibile
se in me ondeggia l’essenza dell’anima tua?

Amen

L.L.

 

365 giorni, Libroarbitrio

“Nelle tue braccia” L.L.

Roma 26 gennaio 2014

Fratello e sorella

Vorrei vivere qui
in questo tuo abbraccio fratello mio
manto di sabbia che m’avvolge
granello di luce che squarcia
il buio di questa stanca ora della notte.

Vorrei vivere qui
in questo tuo abbraccio fratello mio
con le mani tue inquiete
carezzare le mie guance
fondere incantati attimi
a specchiarci nelle iridi
cullando la nostra rabbia
irrequieti animi nostri
che si placano al tatto
dell’essere morsi dalla vertigine che profuma
delle nostre parole tatuate di cielo plumbeo
sigillate da liquida cera lacca
in attesa per la partenza di un nuovo viaggio.

Vorrei vivere qui
in questo tuo  abbraccio fratello mio
posare le mie labbra sulla Madonnina che hai al centro del petto
e baciarla e pregarla
che  nulla possa mai scalfirti
e che deve proteggerti sempre
Dio anche ha questo dovere
e gli Angeli tutti.

Vorrei vivere qui
in questo tuo abbraccio fratello mio
che sa di un dono buono e puro come dovrebbe essere l’amore
emozione ch’io non conosco,
eppure,
 posso credere sia questa melodia
di tutte le note

che soffiano nelle mie orecchie
nella memoria del mio non dimenticarti
e nulla celano di male?
E nessun demone col suo terrificante essere
mi fa più troppa paura
se rivedo te
avvolgermi dalla musica
delle tue braccia.


E sì,
vorrei proprio vivere qui
in questo tuo abbraccio fratello mio.

Lié Larousse

A domani

365 giorni, Libroarbitrio

Sperimentazione Realistica

Roma 8 febbraio 2013

Lo Stilnovo di Cecco Angiolieri

Immagine

La dolcezza era la fondamentale novità del nuovo stile, ma essa non era solo il frutto di una  raffinata scelta linguistica; comportava invece la scelta di tutto un mondo di valori umani simboleggiati dall’Amore, inteso come vita esclusiva dell’anima dedita ad uno sforzo di elevamento spirituale e intellettuale, alla meditazione del suo destino esistenziale, all’indagine dei suoi moti interiori.

Lo stilnovo rappresentava la punta avanzata della intellettualità fiorentina di fine Trecento, tesa a trasferire la cultura delle scuole nel vivo dell’esperienza umana. Ma l’operazione era essenzialmente aristocratica, il linguaggio stilnovistico non si misurava con le cose di ogni giorno, né interveniva su temi più strettamente collegati col mondo politico. Era, almeno in Cavalcanti e Dante, impegno culturale, non evasione, eppure mirava a restringere l’agibilità della poesia  entro un cerchi di raffinata distanza dal mondo esterno. Anzi tendeva a dissolvere ogni riferimento esterno nell’evanescenza di un tempo ideale, secondo una direzione che rimarrà pressoché costante nella lirica italiana.

La peculiarità di questa direzione non sconosciuta alla poesia provenzale, anzi in parte ad essa risalente, provocò quasi un contraccolpo nella cosiddetta poesia realistica, la quale recuperava le voci popolari, escluse per il loro stridore e la materialità del senso dalla scelta aristocratica della lirica d’amore, gli aspetti dell’esistenza rimossi dalla tensione mistica propria della poesia d’alto stile.

Realismo vuol dire in questo caso  rifiuto della idealizzazione, gusto del comico, del volgare, utilizzato in senso satirico e burlesco, non maggiore aderenza alla realtà umana, alla realtà sociale, le quali vengono comunque deformate dall’immaginazione per rispondere  al piacere, spesso bizzarro, di capovolgere i valori positivi del bello e del buono.

Famoso interprete di questo gusto letterario fu Cecco Angiolieri  – 1260/1313 – , nativo di Siena, alcune notizie della sua vita, condanne per inosservanza delle leggi e risse , sembrano avvalorate dalla spregiudicatezza dei suoi versi, che rivelano quasi il piacere di manifestare la miseria, la sregolatezza, i vizi pratici. Soprattutto la scoperta contrapposizione di una donna avida e sgradevole dal nome orribile, la Becchina, al personaggio angelico dello stilnovo, indica il carattere subalterno di questa poesia, che si muove, con intenti satirici e parodistici, sul modello anch’esso stilizzato e retorico del comico. Cecco ebbe con Dante uno scambio di scortesie e di ingiurie, e si accomunò nel sonetto  Dante Alighier s’io son buon bagolardo  al poeta fiorentino per la disonorevole sventura, la miseria, l’esilio e la forzosa condizione di cliente. Mentre altrove, specie nel sonetto  S’ì fosse foco il ribaltamento dei valori morali e la confessione della propria natura demoniaca hanno un esito fantasioso.

A domani LL