365 giorni, Libroarbitrio

“Ecce Homo” il bene dirottato di Nietzsche

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Nietzsche si considera un fautore del male solo in un ben preciso contesto: in contrasto con ciò che gli uomini definiscono bene. Dunque egli scrive:

Se l’animale d’armento brilla nello splendore delle più pure virtù, l’uomo eccezionale deve per forza essere degradato a malvagio.
Se la falsità pretende a ogni costo che la sua ottica sia chiamata “verità” , l’uomo propriamente veritiero lo ritroveremo sotto i nomi peggiori.

Ecce homo è l’ultima opera compiuta di Nietzsche prima della follia, scritta, nelle sue grandi linee, in tre settimane di immensa esaltazione dell’autunno 1888, a Torino. La pubblicazione di questo testo fu ritardata dalla sorella fino al 1908 – e non è difficile intuirne la ragione: in poche pagine qui Nietzsche pone le esigenze estreme del suo pensiero, esaspera i termini dell’accusa e dell’affermazione; fra l’altro è la Germania, e soprattutto lo spirito dell’Impero germanico, a essere qui vittima di un attacco che per virulenza e acutezza non è stato finora superato. Ma dietro questa drasticità della formulazione, dietro il grandioso gesto teatrale che regge il tutto, molte cose sono da scoprire in questo testo misterioso, dove Nietzsche stesso vuole configurare il proprio destino, dove anche la sua arte labirintica dà una prova suprema – e non meraviglia che molti si siano spersi nei meandri di queste poche pagine. Di fatto, Ecce homo è stato sempre uno dei testi più dibattuti di Nietzsche, di esso sono state proposte le definizioni più discordanti: proclama cosmico? documento psicopatologico? autoritratto? pamphletantitedesco?
Certo è che quest’opera è un unicum e con essa deve confrontarsi alla fine chiunque si avvicini a Nietzsche: vi troverà un essere che con la sfrontatezza del buffone e del veggente annuncia cose che in buona parte aspettano ancora di essere capite.

365 giorni, Libroarbitrio

Wordsworth “il poeta è un uomo che parla agli uomini”

Roma 19 luglio 2013

Wordsworth, attraverso la definizione del poeta, definisce anche la poesia: ” Il poeta è un uomo che parla agli  uomini, sia pure dotato di sensibilità più viva, di maggiore entusiasmo e tenerezza, di una più profonda conoscenza della natura umana e di un animo più vasto di quanto si ritenga comune  all’umanità; un uomo che vagheggia le proprie passioni  e la propria volontà e che più di ogni altro gioisce dello spirito vitale che è in lui; un uomo che ama completare la volontà e le passioni che si manifestano nelle vicende universali a somiglianza delle proprie, e che si sente spinto a crearle dove non riesca a trovarle”.
Tratto da Storia della letteratura inglese, David Daiches, Garzanti Editore 1983

Wordswort nasce a Cockermouth, nel Lake District nel 1770.

Venticinque anni dopo risale l’inizio del suo fruttuoso rapporto con S.T.Coleridge, che determinò la creazione delle Ballate liriche.

La grande novità di questi versi fu il profondo rinnovamento del linguaggio e delle tematiche: la funzione della poesia diventò con Wordsworth l’espressione delle emozioni del poeta con il linguaggio reale, colloquiale degli uomini, la scoperta dell’intima spiritualità  e dei significati soprannaturali degli avvenimenti più semplici della quotidianità.

Nel 1805 uscì il poemetto Preludio, ricco di riferimenti autobiografici e in particolare sul suo sodalizio con Coleridge, e nel 1807 Poesie.

Poeta laureato dalla Corona inglese, Wordsworth morì Rydal Mount nel 1850.