365 giorni, Libroarbitrio

“L’uomo solo” H.G.W

L'uomo solo

Si dice che il terrore sia una  malattia e posso affermare che , per parecchi anni, fino ad oggi, un incessante terrore ha continuato ad esistere bel profondo del mio animo. Lo stesso terrore, credo, che può provare un cucciolo di leone semi domato. E i miei timori assumevano le forme più strane. Non riuscivo a persuadermi, per esempio, che le donne e gli uomini che incontravo, non fossero, come io credevo, dei mostri, sia pure d’aspetto più umano, animali trasformati solo esteriormente in uomini e che presto o tardi avrebbero cominciato a degenerare mostrando la loro origine bestiale. Mi decisi di affidare il mio caso a un notissimo specialista in malattie nervose (…). Per quanto non speri di perdere completamente il terrore, riesco a confinarlo nel fondo della mia coscienza, come una nube lontana, un ricordo e una lieve sensazione di sfiducia. Ma ci sono momenti in cui la nube s’ingrossa fino ad oscurare tutto il cielo. Allora mi guardo intorno atterrito e scruto i miei simili. Vedo visi intelligenti e luminosi, altri cupi e pericolosi, altri irresoluti e falsi. Non trovo un volto che abbia la calma umanità di un essere ragionevole. Mi sembra che, in tutti, l’animalità stia per avere il sopravvento, temo di dover assistere, su una scala immensamente più vasta, alla degenerazione. So che è un’illusione; che gli uomini e le donne che vedo intorno a me sono veri uomini e vere donne, che lo saranno sempre: perfettamente ragionevoli, pieni di desideri umani,  e di slanci delicati, liberi da bassi istinti, non vincolati da nessuna legge pazzesca. Pure li schivo, temo i loro sguardi curiosi, le loro domande, il loro interessamento: desidero vivere lontano da loro e solo.
(…) Mi sono ritirato dalla confusione della città e dalla folla e passo le mie ore sui libri, luminose finestre nella notte della vita. Vedo pochi estranei ed ho una modestissima casa tutta mia. Dedico le ore del giorno ad esperimenti di chimica e nelle notti luminose studio l’astronomia. Per quanto non ne sappia il come e il perché, c’è un senso di pace e di protezione nello sfavillio delle stelle. E poi, è nelle vaste ed eterne leggi della materia  e dei mondi, e non negli affanni terreni, nel peccato o nella sofferenza, che tutto quello che non è animalità in noi deve trovare il suo conforto e la sua speranza. Lo credo fermamente, se no non potrei vivere. E così, nella fede e nella solitudine, finisce la mia storia.

Edward Prendick

365 giorni, Libroarbitrio

Honorè de Balzac capostipite del romanzo “sociale”

San Rocco 19 agosto 2013

Honorè de Balzac scrittore

Nato a Tours, in Francia, nel 1799, proveniente da una famiglia borghese, Honorè studiò giurisprudenza e iniziò a lavorare presso uno studio notarile.

A vent’anni cominciò la carriera di scrittore, ma le sue prime opere, una tragedia e un romanzo, ebbero scarso successo.

Dopo dieci anni di difficoltà economiche, durante i quali si assicurò la sopravvivenza lavorando come giornalista e tipografo, e pubblicando modeste opere narrative, nel 1829 il romanzo storico Gli Sciuani ebbe successo e gli permise di dedicarsi definitivamente all’attività di romanziere.

Fu scrittore molto prolifico.

Dal 1829 al 1834 scrisse numerosi romanzi, tra cui Il medico di campagna, Eugenia Grandet e Papà Goriot, testi nei quali è costante l’interesse per la condizione degli uomini nella società.

Fu così che ebbe l’idea di riunire i suoi romanzi in un’unica opera, la Commedia Umana, nella quale ogni storia aveva una sua autonomia e completezza ma alcuni personaggi erano ricorrenti.

L’unità era assicurata dal senso dell’opera: uno straordinario quadro della società contemporanea in bilico tra l’ “antico regime” e il capitalismo borghese; una acutissima rappresentazione del costume e delle contraddizioni della realtà, per la quale Balzac è considerato il capostipite del romanzo “sociale”.

In questi stessi anni lo scrittore iniziò una relazione amorosa con la contessa polacca Eva Hanska, che sposò solo nel 1850, dopo anni difficili anche per alcuni dissesti economici che dissiparono il suo patrimonio di romanziere di successo.

Negli ultimi anni di vita, Balzac ridusse il ritmo della sua produzione letteraria e non riuscì più a raggiungere il livello qualitativo delle opere maggiori.

Morì a Parigi lo stesso anno delle nozze.

A domani

LL

365 giorni, Libroarbitrio

Vittorio Alfieri: Cessar io d’amarti?…

Roma 14 maggio 2013

Cessar io d’amarti? Ah! pria nel cielo

di sua luce vedrai muta ogni stella,

lo gran pianeta, che ogni cosa abbella,

ingombro pria vedrai d’eterno velo:

pria verran manco, al crudo verno il gelo,

erbette e fiori alla stagion novella,

al mio signor faretra, arco, e quadrella,

giovinezza e beltade al dio di Delo.

Cessar d’amarti? o mia sovrana aita,

di’, non muovon da te l’aure ch’io spiro?

Fonte e cagion non mi sei tu di vita?

Principio e fin d’ogni alto mio desiro,

finché non sia da me l’alma partita,

tuo sarà, né mai d’altra, il mio sospiro.

di Vittorio Alfieri

A domani

LL