Uccidimi.
Strappami il cuore e divoralo
Tra le tue fauci assetate d’amore.
Violentami le speranze
Bruciami i sogni
Distruggimi ogni singolo ricordo.
Ma non provare
Neanche per un secondo
Ad Amarmi.
poesia di Claudia Massotti
365 giorni
Sogno di una notte di mezza estate
e di campi di grano seccati dal sole di luglio
granelli di polvere che si alzano tremanti dalle suole delle tue scarpe.
Sogno di una risata
che echeggia nell’eco dei prati,
e le rughe sul tuo volto distendersi un po’.
Sogno di una bicicletta
che non ho mai imparato a usare,
di gambe che han ritrovato i propri passi,
e le ruote di una valigia che sento ancora scivolare sul pavimento di casa.
Sognerei la gioia,
se solo potessi,
e l’orgoglio sgorgare dai tuoi occhi
come fiumi in piena che inondano le sponde e strabordano.
Sognerei il tuo lascito scorrermi nel sangue
come i ricordi che mi infestano i sogni e premono tra i nervi,
a ritmo di battiti distendendosi nelle mie pupille.
Sognerei le urla e le parole sussurrate davanti ad un bicchiere,
quando prima che la notte incomba rimaniamo solo io e te
a risolvere ciò che io non so spiegarmi e non so spiegare.
Sognerei una falcata lenta,
braccio a braccio,
lunga quanto una navata che si distende davanti a noi.
Sogno ancora la tua mano che mi abbandona,
quella non ho mai smesso di sognarla.
E i tuoi occhi che lentamente cambiano colore,
e non mi guardano più come prima.
Sogno ancora quel vuoto assordante che rimbomba per casa
e che temo un giorno possa rompermi i timpani
e distruggermi la memoria.
Mi chiedo se un giorno smetterò di sognarti,
di lasciarti prendere spazio accanto alla bambina che sono
e cullarmi nella notte.
Mi chiedo se un giorno smetterò di sognarti,
ma so che tanto non smetterò mai.
Claudia Massotti
Nel 2002 J-AX, al tempo cantante degli Articolo 31, cantava “gente che spera”, all’interno dell’album “Domani smetto”. Ma chi è questo “Noi, gente che spera”?
Nel marzo del 2021, al primo compleanno della crisi pandemica, credo che la gente che spera sia difficile da individuare. In particolare, dove sono i giovani che sperano?
Nella società odierna, sempre più divisa tra una crisi economica, una crisi sanitaria e una crisi di governo, che futuro si prospetta per chi ancora nutre una speranza nel Bel Paese?
Non si può negare che i giovani italiani siano stati al centro delle discussioni che hanno caratterizzato il 2020; d’altronde è risaputo che ad ogni difficoltà corrisponde un capro espiatorio, ma allo stesso tempo non si può negare che la maggior parte dei capi espiatori diventino poi alcune delle principali vittime dei problemi che sorgono. Non è forse vero che noi giovani, sempre più accusati di mancanza di responsabilità, presunti “untori” di un male ancora non decifrato, abbiamo subito un grandissimo impatto da una pandemia che ha stravolto le carte in tavola anche per quanto riguarda il nostro futuro?
Per molto tempo sono risuonate parole apprensive verso le fasce più giovani, come i bambini frequentanti la scuola elementare; un tema di discussione facilmente riscontrabile in qualsiasi talk show pomeridiano della televisione italiana, nel quale opinionisti vari esprimevano la preoccupazione per il gap di istruzione, ed il conseguente “ritardo educativo” che questi bambini subiranno in futuro, ma per chi si trova adesso a dover fare i conti con il proprio destino, ha forse qualche speranza? Per chi ha fame di vita, arde di sogni e ambizioni, c’è forse un futuro? Ad oggi l’ipotesi più rosea sembra risolversi nel passaggio da una videochiamata con un professore ad una videochiamata con dei colleghi d’ufficio, nell’utopistica possibilità in cui si riesca ad ottenere un colloquio e si venga selezionati per un posto vacante.
Che cosa è rimasto ai giovani che ricoprono quella fascia che va dai 20 ai 30 anni se non un debito pubblico da dover portare sulle proprie spalle, una pensione sempre più lontana, così come la possibilità di trovare un lavoro dignitoso che gli permetta di costruire la propria vita?
Ci hanno lasciato chiusi nel cassetto più difettoso dell’intero comodino, dimenticandosi delle nostre lauree, dei nostri titoli, degli stessi curriculum che altro non sono più che fogli per disegnare. Tuttavia, non si sono dimenticati delle nostre tasse universitarie, dell’alto costo dei corsi di formazione, di quel “cerchiamo giovani da formare con esperienza”. Come possiamo dimostrare di che pasta siamo fatti, noi giovani italiani, se non riceviamo il minimo supporto neanche dall’assistenza della rete wi-fi che non funziona più? Cosa è rimasto a noi giovani italiani, che indossiamo sempre la mascherina, igienizziamo le mani, manteniamo le distanze, e passiamo gli ultimi anni di gioventù a cercare di preservare quelle poche certezze verso il nostro futuro che abbiamo faticosamente conquistato? Si è parlato a lungo della “fuga di cervelli”, ovviamente venuta meno ma non totalmente scomparsa in questo periodo di pandemia, tuttavia ciò che ancora non è chiaro è quale sia l’intenzione del paese per far sì che ciò non avvenga. Aspettiamo con trepidante ansia il momento in cui venga riconosciuta la presenza di una popolazione giovane che un domani, più o meno vicino, si troverà a tener in mano le redini di un paese che chissà in quali condizioni ci verrà consegnato. Sempre più ragazzi rinunciano alla vita tra questi nostri confini perché non sono in grado di realizzarvi le loro ambizioni, non lasciamo che i pochi “fedeli” cambino idea fino a che la nazione non si troverà popolata (e decimata) da persone over 65.
Ridateci la voglia di sognare.
Ridateci la speranza che tutta la fatica fatta fino ad ora sia poi ricompensata, che i nostri meriti vengano riconosciuti.
Ridateci le opportunità, le attenzioni, anche solo quella lieve diceria che fossimo il futuro del paese, e non solo versatori di contributi e tasse.
Ridateci la possibilità di fare la nostra parte per aiutare a risollevare la nostra Terra da qualsiasi problema possa affliggerla.
Ridate la speranza a noi, gente che spera.
Articolo di Claudia Massotti
Sei decadente.
Una natura morta.
Sei un verso stramaledetto di Rimbaud.
Ed un imperativo di Salinas.
Hai radici forti, come la quercia millenaria
che troneggia nelle più fitte foreste,
Ma rami scarni, che tentano di resistere
allo spietato vento dell’amore e finiscono
per piegarsi a questo fenomeno naturale.
Hai un cuore pesante, costernato, ed occhi grandi
di chi ha sentito le urla morire in gola
e farsi spazio tra le lacrime.
Sei fatta di vetri rotti come nel peggiore dei mosaici.
Ti aggrappi ai ricordi per non finire a pezzi.
Sei tutte le sfumature del cielo.
Sei la gradazione di ogni colore che domina nell’Eden,
ma che si posa sugli oggetti più inadeguati.
Sei la luce fioca dell’alba,
che si posa indistintamente su ciò che incontra.
Sei un giocattolo difettoso:
una Barbie a cui han colorato i capelli
tagliuzzato una gamba.
Sei un gioco sdegnato dai bambini,
perfettamente piena delle tue imperfezioni.
Sei decadente.
Sei colori di Munch che scappano dalla tela,
E sei i versi ridondanti di Pascoli che suonano in testa.
Sei quella rondine che non torna al nido.
Sei i rondinini torturati dall’attesa.
Sei le cose belle della vita che arrivano inaspettate.
Sei così tutto e così niente da non capire più i confini,
i limiti e tutti gli ostacoli che incontro sul cammino.
Sei tutte le volte che mi perdo e mi ritrovo,
le volte in cui affogo tra i pensieri e fatico a rimanere a galla.
Sei decadente.
La bellezza che vi è dietro il dolore.
Sei decadente.
Sei viva.
poesia di Claudia Massotti
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