365 giorni, Libroarbitrio

Romeow Cat Bistrot: l’identità friendly di un bistrot a pochi passi dal centro di Roma

Foto Chef Romeow Cat BistrotChef Salvo                                                                                                fotografia di Sara Teodori

Sì, lo ammetto, sono un carnivoro praticante, ortodosso, sulla soglia del cannibalismo, se non fosse vietato. Per il momento, almeno. L’universo VEG rimane quindi per me qualcosa d’astruso al pari della teoria delle stringhe, ma devo fare coming out. E’ successo: ho cenato in un bistrot vegano.
Vegano e crudista, il Romeow Cat Bistrot, nel quartiere romano Ostiense, già dal nome sottintende una delle proprie peculiarità, ma solo una. Infatti la nutrita presenza felina non è l’unico perno intorno al quale gira la filosofia del locale, ma semplicemente una nota che aggiunge solo altro calore ad un’atmosfera calma e accogliente da sé, in un locale curato e ricco di particolari, come le tele di Elena Boccoli. L’arte, quella culinaria, è presente soprattutto nei piatti dello Chef Salvo, che alterna geometrie morbide e piccole sfide architettoniche di equilibrio e profumi, il tutto immerso in tanto colore che gli occhi applaudirebbero se potessero. Insomma Romeow Cat Bistrot è sulla bocca di tutti, e bada bene, non solo perché vincitore della sfida “4 Ristoranti” di Alessandro Borghese.
Tutto molto bello, fin ora, quattro sensi su cinque appagati, ma il gusto?
Il gusto è il più contento di tutti!
Le proposte spaziano dalla reinterpretazione di piatti tradizionali a nuove idee che sorprendono per coraggio e qualità dei prodotti, non a caso tutte le materie prime vengono da agricoltura biologica. La cordialità di uno staff giovane e dinamico, mai invadente, guida la scelta del cliente impreparato come quella dei più navigati, anche per quanto riguarda la carta dei vini. Il tutto senza tralasciare l’impegno dei titolari nel creare e curare questa piccola oasi felice, offrendo un’esperienza culinaria e metaculinaria fuori dal comune, rispecchiando l’identità friendly di un bistrot a pochi passi dal centro di Roma, che varia la propria proposta dalla colazione alla cena, passando per pranzo e perché no, per una gustosa ed originale merenda.
Conto alla mano il rapporto qualità prezzo è un motivo in più per tornare alla routine con quella sottile spensieratezza che accompagna dal primo sguardo intrigato all’interno del ristorante. Specialmente se qualche gatto più ispirato si è fatto avanti reclamando le giuste attenzioni.
Rimane il fatto che la cucina vegano crudista è un’esperienza da fare una volta nella vita.
Nel caso specifico del Romeow Cat Bistrot, anche a frequenza settimanale.

Articolo di Gianluca Pavia
DuediRipicca

 

365 giorni, Libroarbitrio

Aperitivo in Cascina Longhignana – Evento Culinario & Be-recycled

 

Venerdì 16 giugno dalle ore 18 alle ore 22

TRATTORIA DEI CACCIATORI
Via Trieste 2, Peschiera Borromeo

 

L’eleganza e l’accoglienza della Famiglia Temporali  nella loro meravigliosa dimora culinaria.
Be_recycled illuminerà i loro spazi esterni e interni
con nuove creazioni e idee tutte con la stessa filosofia di recupero di oggetti dimenticati trasformati in lampade di design…
Il tutto accompagnato da un ottimo Prosecco & Dj Set..
VI ASPETTIAMO

Per info cliccate il link di seguito

https://www.facebook.com/events/1634886016529858/?acontext=%7B%22action_history%22%3A%22%5B%7B%5C%22surface%5C%22%3A%5C%22messaging%5C%22%2C%5C%22mechanism%5C%22%3A%5C%22attachment%5C%22%2C%5C%22extra_data%5C%22%3A%7B%7D%7D%5D%22%7D

365 giorni, Libroarbitrio

L’Oste ar tramonto – Lollo

Foto di Vito Guarino

Trent’anno d’osteria  senza compromessi,
pajate coratelle matriciane e carbonare
porpette fettucine vaccinare e poi ‘l’allessi
caffè ammazzacaffè e tarallucci d’anzuppare.

Ereno stati anni de gloria e de magnanza,
non una lagnanza, er paradiso della gola
osteria da Checco cor core e co’ la panza
c’era sempre stata ‘na gran coda li de fora.

Insino a che lì accanto comparve ‘na vetrina
susci fusion, ristorante cino giapponese
lui se spizzava quei smerdanzi da latrina
chidennose che d’era er tofu pechinese.

E interdetto se cioccava quei miseri piattini
euri sette cadauno e più leggeva e più rideva
quante migliaia carcolanno, de quei tristi rotolini,
n’omo fatto e navigato magnasse se doveva.

Checco co’ na sette ‘nvece apparecchiava,
nun se scherzava, ‘na fojetta ar tavolino
pasta cacio e pepe sur momento mantecava
infine er maritozzo pe’ tappatte l’angolino.

Ma er monno come se sa gira ar contrario,
e i gusti so’ gusti, ce lo dicono i latini
così er susciaro cominciò a rubbaje l’onorario
e l’osteria je se svotò sconfitta dai piattini.

E la sera Checco ‘nsieme all’amichi de ‘na vita
se spizzava quelle infinite file del susciaro
ragazzi secchi allampanati, gioventù fallita
gregge segue gregge, falene dietro a’n faro.

Nun capivano, quell’ommini, cosa succedeva,
l’estetica zen, la modernità de quer locale,
er vecchio tavolaccio d’osteria che nun poteva
tenè testa a quer tocco forestiero e tropicale.

Er lieto fine pe’ ‘storie proprio nun esiste,
Checco se mise ‘n mano ai cravattari
nun aveva afferrato ch’era mejo nun insiste
e ‘n breve s’aritrovò senza più denari.

Je torsero tutto, lentamente, pure l’osteria,
e Checco s’aritrovò solo e senza gnente
s’aggirava per quartiere co’ malinconia
ricordannose i bei tempi, sguardo assente.

Fu ‘na sera, così, che decise er gran finale
proprio nun ce stava a morì dimenticato:
lui ch’era un tempo er re der baccanale
avrebbe ricordato a tutti chi era stato.

‘Mbocco’ dar susciaro cor pezzo ‘n saccoccia
deciso a fa ‘na strage, a scatenà n’inferno,
fu accolto da ‘na cinesina, fu ‘na fredda doccia
mollò er fero sorridendoje con fare paterno.

Era stato ‘n gran coco, ma nun era un assassino
in du’ secondi da camerieri s’aritrovò circondato
s’uno sgabbello appollaiato de fronte ar tavolino
ancora sgomento a fissasse un menù colorato.

Fece n’ordine che nun aveva manco capito,
in pochi minuti er tavolo era pieno de robba
magnò senza fiatà come stordito
co’ le bacchette a‘mpazzì a raccattà quella sbobba

Trenta minuti era durata la spedizione,
e si j’avressero chiesto cosa s’era magnato
nun avrebbe saputo risponne co’ precisione…
tutto e gnente, questo aveva assaggiato.

‘Na cosa però ormai aveva afferrato:
ora aveva capito, era arivato ar tramonto
er susciaro era er futuro lui er trapassato
e nun ce la faceva più a subire st’affronto.

Arrancò fino ar ponte, ce s’erano in tanti buttati
scavarcò e in du’ secondi planava ner voto,
n’antro omo s’univa all’esercito dei suicidati:
solo pochi attimi e avrebbe abbracciato l’ignoto.

E quanno che ‘nfine tera toccò ‘co quer volo letale,
nell’urtimo afflato de vita coll’occhi velati der pazzo
de fronte all’antr’anime ebbe l’intuizione finale:
“Fratelli suicidi, ‘sti rotolini nun sanno d’un cazzo”.