Esiste solo una libertà soggettiva.
Nessuno di noi è oggettivamente libero.
Se conquisto la libertà nell’anima,
posso ritrovarmi rinchiusa
anche nella prigione più buia e,
nonostante questo,
essere veramente libera.
365 giorni
Esiste solo una libertà soggettiva.
Nessuno di noi è oggettivamente libero.
Se conquisto la libertà nell’anima,
posso ritrovarmi rinchiusa
anche nella prigione più buia e,
nonostante questo,
essere veramente libera.
Forgiamo visioni
eroiche ossessioni
incompiuti immortali
sporchi e fastidiosi
siamo cemento che esala
squarci periferici di cielo
sabbie mobili che ingoiano
lungomari di strade distratte
con liquide ossa luminescenti
e ali di riverbero
verbo di una protesta
per la pretesa immortalità
negata da chi crudele
ci ha relegati nella carne molle
di una bolla d’immobilità
l’immortalità ci accende
le vene
vano il giogo delle catene
salari, mutui ed unzioni
estreme solo le azioni
che portano a parole
battute ad ogni battito
un respiro d’inchiostro
sulle nostre anime di cellulosa
stese con il sale
a seccare sotto il sole
stella pronta ad esplodere
per noi due,
soli
Chi abbraccia una donna è Adamo. La donna è Eva.
Tutto accade per la prima volta.
Ho visto una cosa bianca nel cielo.
Mi dicono che è la luna, ma
che posso fare con una parola e con una mitologia?
Gli alberi mi danno un po’ di paura. Sono così belli.
I tranquilli animali si avvicinano perché io dica il loro nome.
I libri della biblioteca non hanno lettere. Se li apro appaiono.
Se sfoglio l’atlante progetto la forma di Sumatra.
Chi prende un fiammifero al buio sta inventando il fuoco.
Nello specchio c’è un altro che spia.
Chi guarda il mare vede l’Inghilterra.
Chi pronuncia un verso di Liliencron fa parte della battaglia.
Ho sognato Cartagine e le legioni che desolarono Cartagine.
Ho sognato la spada e la bilancia.
Lodato sia l’amore in cui non c’è né possessore né posseduta, ma entrambi si donano.
Lodato sia l’incubo che ci rivela che possiamo creare l’inferno.
Chi entra in un fiume entra nel Gange.
Chi guarda una clessidra vede la dissoluzione di un impero.
Chi gioca con un pugnale prevede la morte di Cesare.
Chi dorme è tutti gli uomini.
Nel deserto ho visto la giovane Sfinge appena scolpita.
Non c’è niente di antico sotto il sole.
Tutto accade per la prima volta, ma in un modo eterno.
Chi legge le mie parole le sta inventando.
i cani e gli angeli non sono
molto diversi.
vado spesso in questo posto
a mangiare
alle 2 e 30 circa del pomeriggio
perché tutti quelli che mangiano
lì sono particolarmente tonti
contenti semplicemente di essere vivi e
mangiano fagioli
accanto a una vetrata
che trattiene il calore
e tiene lontane le macchine e
i marciapiedi.
ci danno gratis tutto il
caffè che riusciamo a bere
e ce ne stiamo seduti e beviamo in silenzio
il caffè nero è forte.
è bello stare seduti in un posto
nel mondo alle 2 e 30 del pomeriggio
senza che ti strappino la carne
dalle ossa, anche
se siamo tonti, lo sappiamo.
nessuno ci dà fastidio
non diamo fastidio a nessuno.
gli angeli e i cani non sono
molto diversi
alle 2 e 30 del pomeriggio.
ho il mio tavolo preferito
e quando ho finito
raccolgo i piatti, i piattini,
la tazza, le posate
ordinatamente –
il pegno che pago alla mia buona sorte –
e quel sole
fa un buon lavoro
dappertutto
qui
nel
buio.
Opera fotografica di Linda De Luca
Plasmarsi dell’invisibilità.
Sparire senza assentarsi.
Dissolversi e non morire.
Non morire!
Radioattiva autoimmune al misticismo scientifico.
Si propaga invisibile l’enigma.
Dirama dilania divora.
Ingurgita dispersa parola.
Attenzione richiede.
Giacinto iniezione sottocutanea di rinascita.
Il suo suono rimbomba.
Del suo petalo riecheggia.
Teoria nella praticità dell’esperimento.
Fragranza proibita.
Veleno.
Melodia nelle dita del pianista.
Canto d’aria.
Etereo.
Verso del poeta.
Adrenergica vibrazione.
Diafano.
Questioni irrisposte.
Tuttavia.
Colui che brama non s’arresta.
Escogita strumenti.
Vede al buio.
Esamina la luce.
Si innalza a Dio.
Creatore del gioco.
Del battesimo d’inizio.
Del fine tumultuoso.
Balocco smossa da fili di spago, io.
Cuore di fil di ferro, lui.
Grida rotte nella gola di legno.
Nascondo guizzar d’occhio impaurito.
Esiste dunque non solo ciò che vediamo?
Quale inganno credere d’essersi vestiti dell’invisibilità.
L.L.
Er locale era fatiscente, fumoso,
loschi tizi magnavano pajate
l’oste li cioccava minaccioso
in quell’antro de vite disperate
litri ‘ngurgitati, de vino velenoso
Entrava silenzioso, senza rumore,
mettennose seduto sur bancone
e beveva serio, con abnegazzione
bicchieri su bicchieri de liquore
Anni e anni de pura alienazione,
nun mancava manco de natale
co’ na particolare dedizione
comme se stesse a lavorare
Ma era troppo distinto quer signore
pe confonnese co’ tutti quei pezzenti
“ma chi è?” la domanda sibiliva fra li denti
avvertenno quei cenciosi…come ‘no stridore
Poi s’arzava barcollanno, senza parole
cor passo strascicato e ossa rotte
uscenno ar buio, senza un timore
confonnennosse co’ l’atro della notte
Dove annava nisuno lo sapeva
manco er nome l’oste conosceva
beveva pe’ scordà?
o beveva pe’ nun provà dolore?
a’ndo’ annava a riposà?
perchè ci aveva addosso quer grigiore?
Poi ‘na giornata grigia e uggiosa
nun se presentò ar solito locale,
fu strano: come si mancasse quarcosa
che ‘na presenza silenziosa, bene o male,
s’empone più de quarsiasi cosa
Nisuno se sorprese quanno ar madino
lo trovorno in un brutto vicoletto
sdraiato, posa d’anfarto e artijo sur petto
occhi sbarati da mpaurì pure ‘n becchino
fissi su ‘na mano che strigneva ‘n fojettino,
comme se prima te tirà l’urtimo fiato
volesse pe n’urtima vorta da’ commiato
ar concetto racchiuso in quer pizzino
Fu dura pe li miliziani aprije quella mano
credendo de trovacce un quarche indizio
na via, un nome er numero de ‘n tizio
che potesse tanto tanto…svelaje quell’arcano
de chi fosse quell’omo senza documenti
senza storia, nome e amici o precedenti
‘na specie de fantasma ‘n carne ossa
pe daje identità…prima della fossa
‘nvece se ritrovorno a fissare con stupore
‘n pezzo de carta co’ su scritto tre parole
e ner silenzio de quella scena angosciosa
er maggiore lesse solo: “bocciolo di rosa”
Ner locale ‘ntanto se beveva duro,
pe’ nun richiamà er passato
pe’ nun pensà ar futuro,
c’era ancora quarche disperato
che parlava der tizio silenzioso
ma ereno in pochi a pensacce ancora
che lo scorre der tempo e vin copioso
manna tutto, ineluttabirmente …alla malora.
Ad un tratto mi volto e ti vedo.
Appari dove prima una nuvola di trasparenza relegava l’aria in particelle di polvere. Vedo le tue lunghe ciglia color seme di mandorlo disegnarti l’occhio. Etere tingersi della tua pelle. Ti stringi a me.
Siamo equilibrio su strade senza limiti di velocità ad accudire lo spazio quando trascina a sé il suo tempo e assaporiamo che sensazione ci dona mentre gli occhi nostri s’incontrano nello scrutarsi. Le mia labbra respirano dalla tua bocca. Tu carezzi il mio ventre. Immobili in un abbraccio di gambe e il boato del tutto che ci circonda come Dio quando abbraccia i suoi figli.
Siamo figli di Dio in quest’epoca spaziotempo?
La pacatezza del suo ticchettio.
Quasi sembra non picchiare.
Potevo trovare una parola più dolce?
Picchiare malmenare percuotere l’era che s’aggroviglia all’indietro per camminare avanti.
Quasi sembra non colpire le affascinanti ore che si susseguono della sera che inerme diviene notte e s’accascia a mutarsi in giorno. Magari è così. Estremamente dolce. La notte il giorno la sera. La sera la notte il giorno. Il giorno la sera la notte. Sono fatti della stessa essenza. Sono loro, gli esseri mortali a volerli scorporare per appiccicarseli addosso. E così fanno. Vogliono occhi nuovi per vedere oltre le nuvole, mani più grandi per accaparrarsi un lembo di cielo, piedi palmati per camminare su acque limpide e insozzarle con bocche più larghe parlando d’argomenti che nemmeno conoscono.
Ma il silenzio? Non lo vogliono il silenzio?
Quello buono delle prime ore del mattino dedicato agli animali alati del cielo e della terra. Il silenzio quello buono del crepuscolo che avvolge le anime innamorate. Il silenzio quello buono dell’illuminato Sole a guidare gli impavidi combattenti. Il silenzio quello buono del buio della Luna a prendersi cura dei sogni del sonno. Il silenzio quello buono che mi permette di crearmi questa irrealtà dove tu sei qui con me ora. Il silenzio quello buono dove lo hanno messo?
Che ore sono?
Osservo il Sole lasciare triste l’abbraccio della sua Luna che lo ammira sospirando lieve.
E ad un tratto mi volto e ti vedo.
Mi sorridi e l’animo mio si placa di tutti i tumulti mentre albeggi. Un bacio ancora. Una lacrima ancora. E ti dissolvi tornando vibrazione nella mia mente.
L.L.
Roma 26 febbraio 2014
Quando mi dici, cara, che da bambina non piacevi
alla gente, e tua madre ti disprezzava,
fino a che diventasti adulta in modo discreto, io lo credo:
con piacere ti penso una fanciulla diversa.
Forme e colore mancano anche al fiore della vite,
ma l’acino maturo incanta uomini e dèi.
A domani
Lié Larousse
Roma 24 febbraio 2014
“Appena cominciava ad albeggiare, chiudevamo le massicce imposte dell’antica casa, poi accendevamo due candele intensamente aromatiche, che spandevano intorno una luminosità fioca e spettrale.
Indotti da quel debole chiarore, consegnavamo le nostre anime ai sogni: leggendo, scrivendo oppure conversando, sinché il grande orologio non ci annunciava l’avvento dell’Oscurità vera.
Allora uscivamo sottobraccio a passeggiare lungo le strade, proseguendo con i ragionamenti del giorno oppure limitandoci a girovagare senza meta fino alle ore piccole, cercando, tra le luminosità e le tenebre della città gremita, l’intensa eccitazione della mente che l’osservazione silenziosa sa suscitare.”
da, I delitti della Rue Morgue, Demetra 1993
A domani
Lié Larousse
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