Si può iniziare una storia nel bel mezzo e procedendo arditamente avanti e indietro impiantare un grandissimo casino.
Si può ostentare modernità, depennare tempi e distanze e a cose fatte proclamare che finalmente e all’ultima ora il problema spazio-tempo è stato risolto. Si può anche affermare, proprio in incipit, che oggi giorno è impossibile scrivere un romanzo, ma dopo, per così dire alle proprie spalle, scaricare un bestseller bello grosso e ritrovarsi eletto ad ultimo romanziere possibile. Inoltre ho sentito dire che brilla per modestia chi all’inizio pretende: che non esistono più gli eroi da romanzo, perché gli individualisti non esistono più, perché l’individualità ci è scappata di mano, perché l’uomo è solo, ogni uomo solo allo stesso modo, senza alcun diritto alla solitudine individuale, e costituisce una massa solitaria senza nomi e senza eroi. Sarà così e sarà giusto così. Tuttavia per me, Oskar, e per il mio infermiere Bruno vorrei constatare che: noi due siamo eroi, eroi radicalmente diversi, lui dietro lo spioncino, io davanti allo spioncino; e quando lui apre la porta noi due, con tutta l’amicizia e la solitudine, siamo ancora ben altro che un’anonima massa senza eroi.
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Honorè de Balzac capostipite del romanzo “sociale”
San Rocco 19 agosto 2013
Nato a Tours, in Francia, nel 1799, proveniente da una famiglia borghese, Honorè studiò giurisprudenza e iniziò a lavorare presso uno studio notarile.
A vent’anni cominciò la carriera di scrittore, ma le sue prime opere, una tragedia e un romanzo, ebbero scarso successo.
Dopo dieci anni di difficoltà economiche, durante i quali si assicurò la sopravvivenza lavorando come giornalista e tipografo, e pubblicando modeste opere narrative, nel 1829 il romanzo storico Gli Sciuani ebbe successo e gli permise di dedicarsi definitivamente all’attività di romanziere.
Fu scrittore molto prolifico.
Dal 1829 al 1834 scrisse numerosi romanzi, tra cui Il medico di campagna, Eugenia Grandet e Papà Goriot, testi nei quali è costante l’interesse per la condizione degli uomini nella società.
Fu così che ebbe l’idea di riunire i suoi romanzi in un’unica opera, la Commedia Umana, nella quale ogni storia aveva una sua autonomia e completezza ma alcuni personaggi erano ricorrenti.
L’unità era assicurata dal senso dell’opera: uno straordinario quadro della società contemporanea in bilico tra l’ “antico regime” e il capitalismo borghese; una acutissima rappresentazione del costume e delle contraddizioni della realtà, per la quale Balzac è considerato il capostipite del romanzo “sociale”.
In questi stessi anni lo scrittore iniziò una relazione amorosa con la contessa polacca Eva Hanska, che sposò solo nel 1850, dopo anni difficili anche per alcuni dissesti economici che dissiparono il suo patrimonio di romanziere di successo.
Negli ultimi anni di vita, Balzac ridusse il ritmo della sua produzione letteraria e non riuscì più a raggiungere il livello qualitativo delle opere maggiori.
Morì a Parigi lo stesso anno delle nozze.
A domani
LL
Movimenti Ereticali II
Roma 28 gennaio 2013
Il Codice Cortese
Sul primato della sua funzione spirituale si reggeva il potere ecclesiastico. Le arti e i mestieri, il lavoro contadino non erano santificati in quanto tali, ma in quanto risultassero utili alla comunità sul piano strettamente materiale. In un caso soltanto c’era stata la santificazione di un’attività laica, nel caso della cavalleria: il cavaliere, il miles, in quanto combattente per la fede, veniva regolarmente investito e considerato capace di attingere la condizione del perfetto cristiano. Ma il cavaliere faceva parte della grande feudalità e la sua santificazione s’inquadra in una concezione della società, che riserva alle attività cosiddette borghesi un ruolo secondario dal punto di vista morale e spirituale.
Un tentativo di attribuire all’uomo la capacità di attingere la perfezione morale e spirituale, al di fuori della investitura ecclesiastica, era stata la costituzione del cosiddetto codice cortese, ossia di quel modello di comportamento elaborato nelle corti feudali sul fondamento di una fusione fra l’etica cristiana e l’etica antica. Al centro di questo sistema etico è collocata la virtù della moderazione, della misura, che è insieme prudenza, saggezza e beneficenza, e su tutte domina la larghezza, la liberalità, la disposizione a donare il proprio cuore e le proprie sostanze. Sebbene i princìpi della società cortese fossero strettamente collegati con quelli religiosi, anche per la presenza centrale della istituzione della cavalleria ( il cavaliere è l’eroe forte e generoso, il modello della società cortese), essi tendono a porsi come autonomo modello di perfezione umana. Questo modello, che nella riflessione morale dei secoli successivi sarà presente anche in ambito borghese, è originariamente collegato col mondo della feudalità, della corte, non con quello della borghesia, che privilegia un altro genere di virtù fondato sulla parsimonia.
A domani
LL
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