365 giorni, Libroarbitrio

“Di vetro son fatti” Giovanni Boccaccio

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William Turner  – Sunset over a lake

Vetro son fatti i fiumi, e i ruscelli
gli serra di fuor ora la freddura;
vestiti son i monti e la pianura
di bianca neve e nudi gli arbuscelli,
l’erbette morte, e non cantan gli uccelli
per la stagion contraria a lor natura;
Borea soffia, ed ogni creatura
sta chiusa per lo freddo ne’ sua ostelli.
Ed io, dolente, solo ardo ed incendo
in tanto foco, che quel di Vulcano
a rispetto non è una favilla;
e giorno e notte chiero, a giunta mano,
alquanto d’acqua al mio Signor, piangendo,
né ne posso impetrar sol una stilla.

365 giorni, Libroarbitrio

Modello elegiaco

Roma 20 febbraio 2013

Novità della “Fiammetta”

Nell’atmosfera del romanzo cortese fu concepita dal Boccaccio anche la più rinomata delle sue opere cosiddette giovanili, l’Elegia di Madonna Fiammetta, scritta a Firenze fra il 1343 e il ’44, ma ambientata nell’eletta società napoletana, dedicata ad un personaggio femminile che porta un nome sempre presente nelle opere del Boccaccio, e sempre collegato col tema della passione d’amore. La storia di Fiammetta, sposa di un gentiluomo napoletano, divenuta amante di Panfilo, il quale un bel giorno l’abbandona per tornare dai suoi e la lascia in un’attesa angosciosa e nel dubbio, e infine nella disperazione, si iscrive nella tematica consueta della letteratura cortese, ma ha uno sviluppo nuovo dal punto di vista della struttura del romanzo, testimoniando ancora una volta l’intento innovativo e la continua sperimentazione dello scrittore.

In un proemio e nove capitoli, di cui l’ultimo rappresenta il congedo ai lettori, la vicenda rivive nel ricordo della donna, la quale racconta della sua nascita, del suo matrimonio, del suo innamoramento, della sua vita di adultera e della partenza dell’amante, e per gran parte del romanzo descrive in forma analitica il riflesso che ha sulla sua intima vita la lontananza della persona amata. Anche alcuni piccoli eventi esterni che scuotono la sua solitudine (la falsa notizia del matrimonio di Panfilo, la falsa notizia del suo ritorno, il tentato suicidio, gli svaghi cui prende parte per distrarsi) diventano per Fiammetta occasione di analisi introspettiva e di lamento.

Il predominio della confessione dolorosa rispetto alla vera e propria narrazione, della effusione descritta e analitica rispetto all’intreccio  e alla progressione concatenata delle vicende, riporta l’opera nell’ambito di un genere classico evocato del resto nello stesso titolo. L’elegia latina è appunto una confessione d’amore, in cui gli elementi narrativi costituiscono la premessa, il sottofondo, l’occasione della meditazione palesata al pubblico amico, da cui il protagonista, che è lo stesso autore, spera pietà, comprensione e commiserazione.

ll modello del Boccaccio erano in effetti  le Heroides di Ovidio, epistole in versi di tono elegiaco, in cui si esplica in una varietà di esempi mitici il tema della donna abbandonata, e in cui l’autore si distingue dal suo personaggio, al quale attribuisce la narrazione-sfogo. Ma Fiammetta si rivolge al vasto pubblico femminile, non all’amato, tranne nelle apostrofi che intramezzano il discorso.

Bisogna aggiungere che nella tradizione medievale  il termine di “elogia” veniva interpretato come derivante da “eleyson”, e quindi messo in rapporto con la pietà e la commiserazione, e che lo “stile elegiaco” veniva considerato alla pari con lo stile umile, adatto perciò alla tematica triste dell’amore.

A domani

LL

365 giorni, Libroarbitrio

Trasformazione del romanzo cortese e della favola mitologica

Roma 18 febbraio 2013

Originalità del Boccaccio

Ad opera del Giovanni Boccaccio la lingua fiorentina trovò uno sbocco nuovo, confermando nel corso del Trecento, sul piano della letteratura, la sua egemonia fra i dialetti italiani. Una dimensione nuova acquisita infatti  con lui la prosa narrativa in volgare, che Dante aveva tentato nella Vita Nuova prima di impegnarsi nella prosa dottrinale, e che era adoperata nella novellistica a scopo morale, negli  Exempla dei predicatori e nei volgarizzamenti di opere storiche e romanesche. Ammiratore di Dante e Petrarca, la cui venerazione egli contribuì ad introdurre in Firenze, Boccaccio apparteneva in realtà ad una generazione diversa, pur essendo di pochi anni più giovane del Petrarca. Trasferitosi per studio a Napoli, presso la corte angioina, ove la tradizione letteraria cortese doveva aver mantenuto gran parte della sua originaria dignità, formò il carattere del giovane Boccaccio e proprio in questa atmosfera si avvia alla prima produzione narrativa verso uno stile non in tutto corrispondente alla tradizione del romanzo cortese.

Il “Filocolo” scritto a Napoli 1336 rivela le complesse istanze culturali con le quali il Boccaccio affrontava la narrativa cortese. Nel groviglio della trama e nella molteplicità degli episodi, che danno l’impressione del farraginoso, bisogna vedere in realtà la presenza di  quella tradizione narrativa fondata appunto sulla ricchezza delle peripezie  e dei motivi più disparati. La vicenda dei due giovani Florio e Biancofiore, infatti, offerta come esempio di un amore indissolubile, che supera ogni difficoltà e ogni prova, è inserita in una storia più vasta, che include la lotta fra cristiano e saraceni, spaziando dalla Spagna all’Africa, al lontano Oriente e infine Napoli e a Roma. Elementi epici e cavallereschi si mescolano a favolosi motivi orientali, con l’inclusione del magico e del fiabesco, mentre la rappresentazione della nobile società napoletana con i suoi eletti svaghi e con le sue splendide feste combina il gusto del meraviglioso con l’interesse per la descrizione dell’attuale vita mondana, come avviene appunto nel romanzo cortese.

A domani

LL

Per maggiori ed ulteriori spunti di lettura il testo preso in questione è:
La Letteratura nella Storia d’Italia
Editore Il Tripode

365 giorni, Libroarbitrio

Recupero della Letteratura Antica

Roma 13 febbraio 2013

Auctores

Mentre il volgare italico trovava una sua vigorosa affermazione quale strumento letterario nei generi fondamentali dell’arte poetica, nell’ambito della cultura latina si modificava l’orientamento degli studi e lo stesso primato del latino veniva trasformandosi col progredire  degli interessi grammaticali e retorici  e con il recupero della poesia antica.

Questa trasformazione tendeva ad emarginare la cultura scolastica dominata dalla dialettica e dalle arti del quadrivio, per esaltare le arti “sermocinali”, quelle cioè che privilegiano il “sermo”, il “discorso”, la parola di cui la poesia sarebbe l’espressione più alta e compiuta. Assistiamo così ad una rivalutazione degli autori “antichi” e quindi del loro linguaggio, nello stesso tempo in cui si cerca di valorizzare la lingua moderna attribuendole le più alte funzioni sul piano intellettuale.

Non si tratta di una contraddizione, anche se il fenomeno si configurò talvolta in termini di conflitto. Dante trovò l’opposizione dei nuovi ammiratori degli “auctores”, Petrarca e Boccaccio nella loro età matura trascurarono la composizione in volgare, considerando più fruttuoso applicarsi ai temi e alle forme della cultura antica. Quel che in effetti si tentava di superare, era il linguaggio e la tematica della recente cultura scolastica, incentrata sui problemi tecnici della scienza, della filosofia e della teologia. E in questo tentativo convergono sia la ricerca espressiva del volgare sia lo studio e l’imitazione dei testi poetici, storici, morali dell’antichità cui si affiancava, secondo la prospettiva dell’epoca, anche la tradizione latino-cristiana.

Nella prima metà del Trecento l’incremento degli studi in questo senso si registra anzitutto nel Veneto, e particolarmente a Padova, sede di un gruppo di retori e poeti, che abbiamo visto fiorire dalla fine del secolo precedente in concomitanza con la dura lotta per l’indipendenza della città dalle mire di Ezzelino da Romano, e poi per impulso dei Carraresi presso i quali a metà del secolo si stabilisce il Petrarca.

A domani

LL