365 giorni, Libroarbitrio

“Mille e un libro” gli autori Larousse & Pavia presentano i loro libri da Marzullo

Due scatti rubati in attesa della messa in onda
Rai1 – Mille e un libro

Gianluca Pavia - Mille e un libro Marzullo

Lié Larousse Mille e un libro Marzullo

I nostri libri li potete trovare in tutte le librerie Feltrinelli e Mondadori, nelle piccole librerie indipendenti, e online di seguito:

https://www.amazon.it/Black-out-Gianluca-Pavia/dp/8894120473
https://www.miraggiedizioni.it/prodotto/spietate-speranze/
https://www.miraggiedizioni.it/prodotto/lie/

 

365 giorni, Libroarbitrio

Splendido casino – Gianluca Pavia

agan harahap unchained melody

Quante volte ho invidiato i piccoli,

stupidi, dettagli degli altri,

un particolare riconoscibile

per quanto banale,

desiderato soffrire di un morbo

pericolosissimo, letale,

raro tipo paziente zero

per quel po’ d’attenzione

che alla fine mica ci ammazza.

Tante volte mi sono fotografato

in prima pagina,

salvare il mondo, vincere i mondiali

quando non riesco a guardarmi

in una mia fotografia,

se fai il video non te lo dico.

Troppe volte mi sono sforzato

di essere chi non sono,

e poi chiedermi,

in realtà, io chi sono?

Quando bastava salutarmi

la mattina, allo specchio

mentre mi lavo i denti

e già mi gira, parecchio,

tenermi da parte qualcosa di caldo

la sera, e una stella d’abbracciare

e nel mezzo cercare che il giorno

non faccia troppo male.

Rimboccarmi le coperte

spegnere la luce

e dirmi che andrà tutto bene.

In caso contrario

se non sarà così

sarà comunque

uno splendido casino.

 

La poesia “Splendido casino” è estratta dalla nuova raccolta poetica WHISKEY E SODA CAUSTICA

#poesia #whiskeyesodacaustica

Opera fotografica Unchained melody
di #AganHarahap

 

 

Se vuoi conoscere l’autore
ti invitiamo a partecipare all’iniziativa che promuove la letteratura e lo spettacolo dal vivo
LIBRO: CHE SPETTACOLO!
presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna
domenica 14 aprile alle ore 10:30
in via delle Belle Arti 131, ROMA

Locandina Gnam 14 aprile Lié Larousse Gianluca Pavia Duediripicca

https://www.amazon.it/Black-out-Gianluca-Pavia/dp/8894120473
https://www.miraggiedizioni.it/prodotto/spietate-speranze/
https://www.instagram.com/gianluca_pavia/

se vuoi contattare l’autore scrivi a:
pavia.gianluca@yahoo.com

365 giorni, Libroarbitrio

Oggi e domani gli autori Lié Larousse e Gianluca Pavia alla libreria FELTRINELLI LIBRI & MUSICA MARCONI – Roma

PROMO FIRMA COPIE FELTRINELLI MARCONI

Oggi pomeriggio dalle ore 16:00 alle ore 20:00 e domani pomeriggio (stesso orario) gli autori romani Lié Larousse e Gianluca Pavia saranno alla Feltrinelli Libri & Musica per firmare le copie dei loro libri: BLACKOUT (romanzo), SPIETATE SPERANZE (poesia), .Lié. (poesia).

Cogliete prima di tutto l’occasione per farvi un giro in libreria ed aggiornarvi sulle ultime uscite, e le novità che i due autori hanno in serbo.

#IOLEGGO

365 giorni, Libroarbitrio

Una diabolica mano – di DuediRipicca da POKER D’INCUBI

unadiabolicamano

Il bar, angusto e soffocante, saturato dal vociare febbrile del sabato sera, celava un segreto.
No, no era la salmonellosi aleggiante nella vetrina frigo tra tramezzi stantii e paste mesozoiche. E no, non erano neanche i topi grassi e ben in tiro tipo agenti immobiliari. Quelli li conoscevamo bene tutti e li chiamavamo per nome oramai.
No, quel covo di relitti umani nascondeva, alle spalle del bancone, appena dopo il cesso con un rischio igienico pari al Gange nei giorni di piena, uno stretto corridoio riverniciato dalla muffa che si snodava sino ad una piccola porta cigolante affacciata su di una claustrofobica scala a pioli che s’avvitava su se stessa nell’oscurità sino ad una sordida cantina. L’aria ristagnava, mal illuminata dall’unica lampadina ed intrisa di fumo e disperazione, in linea con il resto del quartiere. La sedia, di quelle in legno e paglia, era spigolosa e pizzicava qua e là, la mano in bilico e la posta, beh, la posta era alta, molto alta. Aprì le mie carte, donna di cuori e donna di quadri. Non male.            Fissai il tizio in completo nero seduto accanto a me passarsi una mano sulla tesa del cappello ben calato sul volto. Con l’altra adagiò un lungo bocchino nel posacenere. La sigaretta all’estremità sfrigolava lieve senza consumarsi.
– Diecimila.- Annunciò sorridendo una sorta di Big Jim alla sinistra del tizio. Aveva i capelli color grano e la pelle di quel marroncino bruciato tipo polpettone di steroidi dimenticato in forno.
– Call.- Replicò il nanetto occhialuto, grassottello e stempiato alla sua sinistra, gli occhi fissi sulla scollatura del dealer, una rossa mozzafiato che avrebbe irrigidito persino Signorini.
Il tizio alla mia destra sfoggiava l’imperscrutabile espressione del grande pokerista, di chi si sta giocando i risparmi della moglie, una moglie in apprensiva attesa sull’uscio di casa, con una mazza chiodata che neanche Conan il barbaro.
Bofonchiò qualche imprecazione, e infine si decise: – Call, anch’io.
Guardai ancora le mie carte. Due donne, non male. Spostai i miei dieci mila al centro del panno verde. Gli occhi del tizio in nero erano adombrati dalla tesa del cappello, ma avrei giurato di vederli brillare per un istante, o forse fu solo la brace della sigaretta.
Espirò lentamente il fumo e fece schioccare la lingua: – All in.- Sibilò senza scomporsi.
Toccava aggiungere pochi spicci e lo feci senza pensarci due volte, come del resto gli altri tre.
E’ sempre quello che ti frega, pensarci troppo: un attimo di esitazione e perdi l’occasione, l’equilibrio, la strada.
La rossa ammiccò al tizio in nero e girò le prime tre carte.
Due assi e un re di fiori, pessimo flop.
L’umidità sgocciolava ritmica dalle tubature.                                                                              Big Jim prese a contrarre ogni fibra muscolare pompata da cicli e cicli di sostanze al limite della legalità. Le lenti del nanerottolo si appannarono, e questa volta non era colpa dei due MIG mammari del dealer. Gli occhi del grande giocatore girarono su se stessi come i rulli di una slot prima che un gemito strozzato scappasse dalle labbra contratte.
L’uomo in nero rimase in silenzio.
Stava a me parlare, e forse non era la mossa migliore da fare, ma passai comunque la mano. Qualcosa puzzava, anche se non avevo ben idea cosa fosse, o di cosa puzzasse.
– Signori,- esordì l’uomo misterioso da sotto il cappello – come potete benissimo vedere da voi, non mi rimangono fiches per rilanciare.
– E allora? Stai lì buono, che con i piatti grossi ci giocano i professionisti.- Fischiò tra i denti il campione di Gratta&Perdi alla mia destra.                                                                        – Basta che ci sbrighiamo.- Intervenne Big Jim.- Domani ho un’altra audizione e non posso fare tardi, sennò come gliele spiego le rughe al regista.
– Lasciate parlare il signor Lucky Lucy.- Ecco come si chiamava l’uomo in nero.- Siate ragionevoli, in fondo qui siamo tutti dei galantuomini, non è vero mia cara?- Conciliò l’occhialuto continuando a sorridere al dealer.
La rossa strizzò l’occhio alla botte piccola ripiena d’ormoni arretrati.  Poi ammiccò verso Lucky Lucy, che riprese a parlare con la disinvoltura di chi piazza aspirapolveri nel Sahara.
– Dicevamo, sarebbe un peccato giocare una così bella mano per un piatto così irrisorio. E sono uno che di peccati se ne intende, fidatevi.
– Se intuisco bene, ci sta proponendo un accordo, signor Lucky?
– Diciamo una sorta. Non ho contanti con me, ma potrei comunque ripagare la vostra fiducia se mi permetteste di rilanciare.
– Ohi, ciccio, o i soldi o niente. Non vengo mica qui tutte le sere per fare beneficenza.- Ruggì il grande giocatore.
– E poi, cosa potresti mai mettere sul piatto? Forse qualcosa per questi due sfigati,- sbottò il Big Jim – ma guardami: sono giovane, affascinante e in rampa di lancio per il mondo dello spettacolo. Per non parlare delle carte, con queste m’intasco una mano da cinquantamila, minimo. Non credo tu abbia niente di buono per me.                                  La rossa sorrise sorniona mentre la puzza cresceva esponenziale senza che riuscissi a decodificarla.
– Vedi, mio caro Steve,- sibilò Lucky L.- o dovrei forse chiamarti Igino?
Big Jim sbiancò come se gli avessero confermato che con tutta la merda che si sparava tra un paio d’anni addio pistolino.
– No, non ti spaventare se conosco il tuo vero nome. Io sono a conoscenza di molte cose: tutte le tue marchette, per esempio, e dire che neanche ti hanno portato lontano. O quante volte il rispettabilissimo Carlo Maria qui presente si reca a trovare una certa Irina, e, datemi retta, non è vero quello che dice lei, ne ha visti eccome di batacchi più grossi.
Il nanerottolo farfugliò qualcosa mentre cercava di sbrinarsi le lenti degli occhiali.            – Per non parlare di tutte le preghiere del povero Fausto, che non ce la fa proprio ad arrivare a fine mese con una moglie che lo aspetta a casa tutte le notti, sveglia e con una mazza chiodata tra le mani per giunta.
– Ma…ma…- singhiozzò il grande giocatore- ma come fa a saperlo?
– Stiamo tutti con l’acqua alla gola, avrà tirato ad indovinare.- Tagliai corto io.
– No, che mia moglie ha una mazza chiodata, intendo.
La risata agghiacciante di Lucky L. face accapponare la pelle a tutti i presenti.
– Signori, vi prego, tranquilli, non dovete avere paura di me. O forse un pochino sì.- E giù un’altra risata confortante come quelle dei bimbi dall’altra stanza, di notte, in una casa senza frugoletti.
– Ecco la mia offerta.- Fece una breve pausa, giusto il tempo di accendere un fiammifero, posarlo in piedi sul tavolo e fissare la fiamma blu da sotto il cappello.
– Successo!- Tuonò con voce grave e la fiammella avvampò in lingue bluastre fino al soffitto, e tra le lingue flash, sorrisi in copertina e statuette dorate.
Per un minuscolo, brevissimo istante, strinsi il culo sulla sedia.
– Caro il mio Steve, a prescindere se vincerai o meno la mano, da domani la tua vita sarà una discesa continua: tronista, ospite, serate in discoteca, fiction, reality e il firmamento delle stelle si piegherà dinanzi a te. Una lunga discesa senza fine.
Big Jim improvvisò un’espressione sorpresa, testata e ritestata allo specchio per anni, in piccole sale prove, dinanzi a fidanzate e nonne e zie certe del suo brillante futuro; una prova inconfutabile delle sue doti recitative, qualcosa a metà tra una trota ed il Trota.
– Donne!- Esclamò ancora Lucky L. e ancora le lingue incandescenti s’arrampicarono lungo corpi tonici e sinuosi. Tette, labbra e culi presero a danzare tra le fiamme.
Qualcosa si inturgidì anche a me, sempre lì, seduto sulla sedia.
– Per te, mio fascinoso Carlo Maria, bizzeffe di donne: bionde, brune, rosse, vecchie, giovani, e se vuoi anche uomini, bambini, pecore, cammelli e dugonghi, nessun essere vivente potrà resisterti.
Di nuovo la fiamma si…beh, in effetti, dopo un po’ il giochetto sfrantumava i coglioni, diventava più prevedibile dell’assenteismo parlamentare.
– E per te, povero Fausto, soldi a non finire, cascate di gioielli, filarmoniche di moneta sonante, oceani di
– Sì vabbè,- interruppi io – e tu che ci guadagni?
Mi fissarono tutti con più odio di quanto ne trovi nell’Antico Testamento. Avevo rotto la magia, ma quello m’aveva rotto altro già da un po’.
– Avvocato, per caso?- Mi chiese incuriosito prima di ritrattare.­- No, no, ci saremmo già incontrati. Ah, sì, tu sei quello col pallino dello scrivere. Dovevo aspettarmelo, la famosa curiosità dello scrittore. Comunque, è tutto molto semplice, voi avrete a prescindere quello che vi offro.
– E se perdon…- Lo sguardo torvo dei presenti mi convinse a non terminare la frase, e anche un calcio sotto il tavolo fece il suo.
– E se perdono,- riprese Lucky L. accentuando le prime sillabe tipo supplente isterica al decimo giorno di ritardo e tu proprio non hai capito a cosa cazzo serva costruire un quadrato sull’ipotenusa di un triangolo se poi non siamo in grado di tirar giù due strade che non si sbriciolino alla prima pioggia – se perdono, molto semplicemente, avrò le loro anime.
E questa volta la risata fece tremare le mura della cantina, sfarfallare l’unica luce e chiedermi se non fosse stato il caso di svuotare gli intestini prima di sedermi a giocare.
– Fammi capire, cosa sei, il diavolo che te ne vai in giro pacioso e tranquillo a comprare anime come fossero zucchine mutanti su una bancarella di Chernobyl?
Lucky L. sollevò leggermente il cappello lasciando sfavillare due occhioni gialli da far rabbrividire l’onorevole più mafioso, o il mafioso più onorevole, che la differenza, poi, ancora mi sfugge.
– Diciamo che sono più un intermediario, un procacciatore.
– E lavori a proviggio
– Hai rotto il cazzo, hai già foldato e mo’ stai zitto.- Irruppe Steve o Igino o come cazzo si chiamasse Big Jim, provando la sua espressione da duro, ma duro duro, tipo stronzo di uno stitico.- Io chiamo.
– Call anch’io,- s’affrettò a dire Fausto, il grande giocatore – e ‘sta volta vi lascio in mutande, belli.
– Beh, io di mutande ne vorrei annusare parecchie, quindi me la gioco anch’io. Mi dica signor Lucky, dobbiamo firmare qualche contratto, autenticare questo accordo in qualche modo?
– Non ce ne sarà bisogno, ormai con l’InterHell Banking movimentiamo anime restandocene comodamente seduti al tavolo. Quindi, prego Eva, scopri il turn.
– Non dovreste scoprire le vostre carte prima?
Mi fissarono con espressione amorevole, quasi materna, tipo quella della Franzoni.
– Non ce n’è bisogno.- Sibilò Lucky L. e con un cenno lasciò che la rossa Eva scoprisse la carta.
Donna di fiori.
Quasi infartavo. Lo sapevo che avrei dovuto giocare, ma in fondo, con un tris donne mica avrei vinto di sicuro, o no?
Fossero state una settantina, mi sarei pure potuto organizzare per un bell’attacco kamikaze, ma tre donne con due assi a terra, con quel piatto poi, ne valeva la pena?
L’aria s’era appesantita ulteriormente, anche perché la sigaretta nel bocchino continuava a bruciare senza consumarsi e la cantina rimbombava del palpitare di tre cuori al limite del collasso. Gli sguardi si fecero sempr
Ero sicuro che al minimo rumore i tre si sarebbero sgretolati come cristallo. Forse sarebbe stato meglio per loro.
Tre gole deglutirono all’unisono e tre pomi d’Adamo fecero su e giù e sei mani stritolarono il panno verde e quella stranamente irsuta e tozza di Eva scoprì il river.
Donna di picche.
Non so se quel tizio fosse veramente il diavolo o meno, in compenso quelli che tirai giù io erano veri e propri santi intrecciati nelle più diverse posizione kamasutriche proibitive anche per la più snodata contorsionista balcanica.
Lucky L. sorrise, non so se per la bestemmia da Nobel, per le carte o per entrambe.
Adesso, sul tavolo, c’erano due assi un re e due donne.
– Cazzo!- Sussurrò Big Jim scoprendo due miseri jack.- Scala bucata.
– Tris di re, mi dispiace signori.- Gongolò il nanetto occhialuto pregustandosi scorpacciate di figa da infinocchire persino Siffredi.
– Dispiace a me, tris d’assi.- Squittì il grande giocatore e fece per allungare una mano. Un’ombra, o forse una coda sbucata dal nulla, schioccò repentina cacciandogliela indietro.
– Veramente, dispiace a me,- ghignò tetro Lucky L.- anzi, non mi dispiace affatto.
Improvviso un calo di tensione ci lasciò al buio nel momento esatto in cui risuonò un fruscio di carte. Quando la lampadina riprese ad andare sul tavolo c’erano altre due donne: una di cuori, una di quadri, a pochi centimetri dalla mano di Lucky.
La puzza non lasciava più dubbi sulla propria origine: zolfo.
E merda.
Sì, sarei dovuto andare al bagno prima di sedermi.
– E adesso?- Chiese un arguto Big Jim e istantaneo il colorito bruciacchiato della pelle trasmutò in un’abbronzatura da flash compulsivo e l’espressione si instupidì ancora, se possibile, e il telefono gli prese a urlare in una tasca, tutti lo volevano, tutti lo bramavano, anche se ancora nessuno sapeva chi fosse.
Strana cosa la fama, più sei sconosciuto, più nessuno sa cosa hai mai fatto nella tua inutile vita, più in giro c’è gente pronta a giurare che sei il migliore nel tuo campo, anche se non si capisce bene qual sia il tuo campo.
Il nanerottolo occhialuto s’alzò spigliato e senza proferire parola prese sotto braccio, anzi sopra chiappa, la bellissima dealer.
Ancora non realizzavo ma bastò uno strappo improvviso ad illuminarmi. Mi voltai e vidi le tasche di Fausto, il grande giocatore, gonfiarsi a dismisura, esplodere, dilaniarsi sotto la spinta di rotoli sbucati dal nulla, tipo inaspettate proprietà immobiliari in certe, scomode, indagini. Ne aveva in ogni dove, nei pantaloni, nella camicia, anche in posti non proprio piacevoli. Almeno questo faceva intuire la sua espressione mentre si cacciava una mano dietro il fondo schiena, per estrarla poco dopo avvinghiata attorno ad una mazzetta tra l’arancione-cinquanta euro e il marroncino-non c’è bisogno di specificare.
Rimasi lì in silenzio, guardandoli salutare e ringraziare Lucky L. .
Non dimenticherò mai i loro occhi: grigie orbite vuote sopra sorrisi perlacei. Erano spenti, senza fiamma, orfani di qualsiasi slancio, castrati di qualsiasi pur metaforico attributo genitale.
Allora, siamo rimasti solo noi due. Vuoi abbandonare o continuiamo a giocare?- Mi chiese Lucky L. dando un’altra tirata al bocchino.
Avevo appena visto tre uomini perdere l’anima, andarsene via con lo sguardo privo di segni vitali e un ghigno ebete: tre vite distrutte. Qualsiasi normo dotato avrebbe tagliato la corda finché era in tempo, qualsiasi essere vivente dotato di materia grigia funzionante.
– Giochiamo, ma toglimi una curiosità, Lucy di Lucky Lucy non sta per
Luciano, o sbaglio?
– Arguto.- Rispose gettando via il cappello, mettendo così in mostra due piccole corna sulla fronte spaziosa e appena sotto un lungo naso aquilino e appena sotto due lunghi baffi sottili e appena sot, no, basta così.- Sta per Lucifero, apprendistagista demone di terzo livello, in prova, per servirla.
– Anche all’inferno state impicciati col precariato? Brutta bestia, lo so. Replicai facendo frusciare le carte tra le mani.
– Arguto e coraggioso. Dimmi, non hai forse paura, tu, piccolo umano insignificante?
La temperatura s’era abbassata di una decina di gradi, sulla parete difronte a me si stagliava l’ombra imponente ed alata di Lucky L., e alla sua sinistra una lunga coda appuntita si annodò intorno al bocchino portandolo alle labbra del mio avversario.
– Beh, a dirla tutta, me la sto letteralmente facendo sotto, come ogni altro essere vivente, del resto. Non ha forse paura l’equilibrista in bilico sulla fune, o un padre di famiglia quando controlla l’estratto conto? Eppure, nessuno dei due può permettersi il lusso di fermarsi. E’ proprio questo che fa la pura: ti blocca e ti fotte, come pensare troppo. Ma se non pensi mai al demonio non puoi averne paura. Allora, giochiamo?
– Con quelle poche fiches?- Chiese rilanciando.
Aprì le carte: due di cuori e due di fiori.
Cazzo, gioco una mano col diavolo, o un suo fottutissimo dipendente interinale e cosa pesco? Una coppia di due?
Dio stammi bene a sentire, quant’è vero che esisti, perché se esiste il diavolo devi esistere anche te, e non provarci nemmeno a fare il vago, ti giuro che se perdo questa mano vengo su a prenderti a calci in culo finché non canti “Osanna nell’alto dei cieli” ruttando.
– Bastano a vedere il flop, all in!- Feci lanciando le ultime fiches.
Lucky L. sorrise ancora scoprendo la dentatura aguzza da anchorman e le sue carte: jack e dieci di cuori. Feci lo stesso con le mie e per il momento ero in vantaggio con una coppia di due.
Devo ammetterlo, tra le budella stringevo la certezza di portarmi a casa quella diabolica mano. La stessa sicurezza con cui Lucy schioccò due dita artigliate e il flop si voltò magicamente da solo sotto i nostri occhi, senza sorprendermi eccessivamente.
Insomma, ero cresciuto in uno stato che ti ammazza senza troppi problemi lasciando a spasso assassini e criminali, anzi, dopo pretende addirittura l’indennità di sevizia. Ce ne voleva ormai per stupirmi, che ne so, un celebre cantante gay dichiarato che fa outing ammettendo d’essere etero, per esempio.
Le prime community card furono una coltellata al cuore, anzi, tre coltellate di cuori: asso, re e otto rossi come il cuore, come il sangue, come il mio conto in banca.
– Colore e quasi scala reale!- Sibilò il demone senza contratto fisso.
– Ormai sei fregato, mio povero amico. Voglio essere magnanimo con te, voglio offrirti comunque una via d’uscita, come ho fatto con quei tre.
Perle di sudore presero a sbizzarrirsi lungo la mia schiena neanche fosse lo scivolo di un acqua park. Lo stomaco mi si appallottolò in gola e la mente, sempre cara e premurosa, m’illustrò come fosse tanto stupido giocare senza avere i soldi della posta.
E la vita non ammette mai debiti. Pretende che si saldi tutto e subito, anche con sangue e lacrime se necessario. Anzi, le preferisce proprio.
– Sarebbe?- Chiesi con il tono deciso e sicuro di un paracadutista che s’è lanciato con lo zainetto di Peppa Pig della nipote.
– Diciamo che rilanci usando per posta la tua anima, se perdessi avresti comunque il tuo ritorno.
– Tipo? Sì, ma non rifarmi il giochetto della fiamma visionaria, ti prego. C’è un cingalese, giù a Trilussa, che conosce trucchi migliori.
L’apprendista diavolo stizzì rifoderando il fiammifero. Si schiarì la voce catarrosa per tutti i fumi inalati all’inferno (neanche laggiù le condizioni lavorative sono il top, ma di questi tempi non ci si può mica lamentare) e unì le mani difronte al suo brutto muso.
– Caro il mio aspirante scrittore, tu non hai mai pubblicato, giusto? Nessuno ha mai tessuto lodi sul tuo presunto genio, vero? I tuoi lavori ammuffiscono in cassetti e chiavette usb mentre continui ad arrancare per pagare l’affitto, corretto?
Silenzio assenso di chi è stato beccato in fragrante, e pure latitante col padrone di casa.
– Ecco la soluzione,- continuò Lucy – la tua anima sul tavolo e comunque andrà ho per te, già pronta ed editata, con il tuo nome in calce, la bozza del prossimo best-seller intergalattico: la storia d’amore tra un leghista duro e puro e un rifugiato duro e basta. Che ne dici? Le classifiche di vendita, i premi, l’immortalità, la fama.
– Taglia corto, al massimo io c’ho fame, e pure un frigo vuoto.
Il demone strabuzzò gli occhi sorpreso dal rifiuto. Ripartì subito alla carica.
– Ecco la tua soluzione: soldi! Soldi come se piovessero, assegni in bianco, multiproprietà, investimenti spregiudicati ma ben guidati, conti a sette cifre alle Cayman, alle Barbados, alle Mauritius.
– Senti, a me pesa andare al mare a Fregene, pensa se per un prelievo mi tocca fare dodici scali. Lascia stare non fa per me.
Povero Lucky, lo vidi quasi sbiancare mentre si passava affranto una mano sul volto.
– Ok, allora: donne! E che ne dici, tu che ti accoppi a casaccio come un riccio sotto viagra e sei riuscito ad impallare perfino trucideassatanate.org, potresti avere tutte le donne che vuoi ai tuoi piedi: le più sensuali, le più trasgressive, le femmine più vogliose e accattivanti e stupende del pianeta.
Mi fissò per qualche istante con gli occhi lucidi, era certo d’aver fatto centro. In effetti non era male come offerta, almeno a giudicare dall’inspessito epidermide dei miei palmi e da come l’inquilino di sotto sgomitava tra peli pubici e un sadico elastico intimo.
– Naaah, io preferisco le brutte, quelle sì che ci danno dentro.
Lucky s’affloscio inerme.
Sarà stata l’ansia da prestazione, Satana è pur sempre un capo esigente.
– Non ti buttar giù, te lo faccio io un bel re-raise.
Dal suo sguardo intuì d’aver agganciato il pollo. O magari ero io a essere stato fregato. Era meglio non pensarci.
– Io mi gioco l’anima, e non voglio nulla di quello che m’hai offerto, bensì…
– Bensì?- Chiese con occhi luccicanti.
– La tua anima sul piatto, pari e patta, da onesti bari quali siamo: un  povero cristo e un povero diavolo che si giocano tutto in un’unica mano.
– Vuoi farmi ridere? Cos’hai di così allettante da incuriosire un figlio delle tenebre?
– Coperchi, coperchi per tutte le pentole che avete sul fuoco, e sono tante ormai. Pensaci bene,- continuai notando come l’iride verticale del diavolo si dilatasse intrigato – con tutte queste guerre ed epidemie ed elezioni truccate ed ecocatastrofi e suicidi e famiglicidi e streaming di pestaggi e pesticidi nella frutta e nuovi ordini mondiali e disordini per le strade e uomini senza attributi e donne col pisello, non ci si capisce più nulla, neanche il tuo capo sa dove mettere le zampe. E’ la verità, state perdendo terreno, stiamo diventando più bravi di voi nel vostro stesso lavoro. Pensa se tu sapessi fare i coperchi, saresti il nuovo padrone dell’inferno con un bel contratto a vita, o morte, non so bene come funzioni da voi. Dovrebbero riscrivere la “Divina Commedia” per piazzare te al centro di tutto, le donne ti avrebbero per ogni capello e le demonesse darebbero in escandescenza per te. I diavoli inscenerebbero kolossal sulle tue gesta,- ormai neanche fiatava più, pendeva dalle mie labbra come un verme dall’amo – “L’Inferno quotidiano” e “ Lo Stige 24 ore” ti dedicherebbero le prime pagine da qui all’eternità, saresti il primo diavolo che si è fatto da solo ad arrivare così in alto, o così in basso. Sì, insomma, saresti il padrone di tutto con il culo incollato al trono come quello di un senatore alla poltrona.
Dalla sua bitorzoluta scatola cranica veniva un gran sferragliare di pensieri, aveva l’acquolina sulfurea alla bocca e la coda non gli stava più nelle squame.
– Buah, buahah, buahahahaah, povero idiota, ci sto!- E mi stritolò la mano con quella zampaccia infernale.
Non ebbi il tempo di realizzare cosa avessi fatto che Lucy pescò dal mazzo il turn inchiodandomi alla sedia. Ondeggiò la carta a mezz’aria e sentì le coronarie strizzarsi compulsive quando finalmente la voltò, posandola leggiadra sul panno verde.
Un due di quadri si stagliava sul tavolo riverberando inutili speranze in un piccolo spazio dentro di me, tra lo stomaco e lo gola, o magari tra l’intestino crasso e le cistifellea.
– Un tris di due,- constatò il mio avversario – bel punto, ma non basta.
Certo potresti sperare ancora in un full per battere il mio colore a cuori, eppure sono abbastanza sicuro che la prossima carta sarà una donna, di cuori.
– Punti alla scala reale sperando in una donna di cuori? Non ti hanno insegnato che le donne ne sanno una più del diavolo, e sanno essere anche più stronze quando ci si mettono?
La luce ebbe un impercettibile calo di tensione.
– Non essere arrogante, non puoi sperare di battere il diavolo a poker.
– Se per questo ormai non spero neanche di battere cassa, con i tempi che corrono, poi. Sfortunatamente, però, ho questa congenita passione per il brivido, che ci vuoi fare. Allora, giochiamo?
Allungai la mano, scartai la prima carta dal mazzo, come vogliono le regole, e le regole vanno sempre rispettate, e la posai sul river. Quell’ultima e decisiva carta che portava intrinseca una percentuale di vittoria inferiore a quella di sopravvivenza di una panda troppo pigro anche per accoppiarsi.
– Permetti?- Chiesi con un lieve incrinatura nella voce.
– Prego, è sempre piacevole guardare un umano distruggersi con le proprie mani.
Ecco, è la fine, pensai sollevando la carta.
I miei occhi si spengeranno come quelli dei tre prima di me, pensai  inclinandola di lato mentre la calavo.
E’ una donna di cuori, sussurrò appena Lucky Lucy, e la corrente borbottò ancora. La lampadina disertò ancora per un lunghissimo secondo di oscurità, un secolo.
Il cuore martellava in testa, il sudore sgocciolava dalle mie dita sulla carta, i polmoni non si erano dimentica come assorbire ossigeno.
Ero finito. Ero spacciato. Avevo perso l’anima ad uno stupido gioco.
E luce fu.
Tremolante, fredda, ma fu.
E un grido terribile dilaniò il silenzio, straziò i timpani dei clienti del bar sopra di noi, dei passanti ignari, fuori, in strada. Arrivò a disturbare le frequenze di Radio Maria, facendo così infartare la signora Pistilli, placida ottantenne sintonizzata sulla suddetta radio, che, tra un “Padre Nostro” e un’omelia, si sorbì tutta la discografia death metal degli ultimi quindici anni prima di stramazzare al suolo con la bava alla bocca.
Il volto contratto in una smorfia, le labbra tremanti, gli occhi sempre più bui, sempre più spenti. Lucky Lucy non se la stava passando bene, con l’artiglio in parkinson spinto che puntava dritto davanti a sé, dritto sul panno verde, dritto sul placido due di picche adagiato accanto alla mia mano.
– No…non è possibile.- Tartagliò pallido in volto.
– Cosa ci vuoi fare, aspettavi tanto una donna di cuori e ti sei ritrovato con un due di picche: è la vita, tocca prenderla come viene.
– Ma, ma come facevi a sapere che un diavolo con l’anima impegnata perde i suoi poteri?
– Ah, davvero? Non lo sapevo, buon per me.- Sorrisi, voltai le spalle e feci per andarmene.
– Aspetta, aspetta.- Mi fermò Lucky con le orbite cha andavano a sbiadirsi dal giallo originale a un grigio più convenzionale.- Rivelami almeno come fare i coperchi, ti prego.
– Ops, ho bluffato. Non so neanche prepararmi due Sofficini, figurati se so fare coperchi per pentole. Stammi bene, ciao.
Risalendo le scale verso il bar lo sentii imprecare e maledirsi, bestemmiare mentre prendevo una bottiglia d’amaro al bar, piangere convulsamente quando ormai ero fuori in strada.
E così è come comprai l’anima al diavolo, e adesso la tengo in una bottiglia d’amaro per un gran giorno, ma basta parlare.
Allora, giochiamo?

 

Estratto dal libro Poker d’incubi, scritto da Gianluca Pavia & Lié Larousse, firmato DuediRipicca.
Segui l’Hashtag #unraccontoasettimana

“Tempo da lupi, si direbbe, e da mostri − tutti troppo umani.
Fremiti, brividi, respiri che si spezzano. I personaggi di questa raccolta − un inconsueto prosimetro contemporaneo − hanno paura o fanno paura.
Qualcuno potrebbe tirare fuori la parola noir, ma forse a sproposito − perché se c’è qualcosa di nero in questi (guarda caso) 17 poesie più 17 testi perturbanti, è il nero che è già nelle cose.
Gli autori lo fanno risaltare giocando con l’idea di incubo, ma si tratta in molti casi di incubi fatti da svegli.”
(dalla prefazione di Paolo Di Paolo)

Se volete acquistare una copia autografata dagli autori scrivete a: duediripicca@yahoo.com

 

 

 

 

 

365 giorni, Libroarbitrio

DANNATA VOGLIA – di Gianluca Pavia

poesiadannatavoglia-gianlucapavia

E’ quella dannata voglia
d’innamorarsi ancora,
di incendi nei jeans che divampano
a lume di candela in cuori di cera,
a impiastricciarti le idee
e incasinarti la vita.
Che poi,
puoi passarci tutta la vita a prepararti
ma non sarai mai pronto
quando l’amore arriva.
Sì, lo so
ogni volta che mi gioco il cuore
poi ci perdo la testa
– tra decapitazione e circoncisione –
ma è più forte di me,
Uno shock,
lo stesso ogni volta che ti vedo
bella, bellissima
stupenda che vorrei denunciarti,
come il primo istante in cui ti ho vista
ed è stato
come ti stessi aspettando da millenni,
tipo quando scrivi 5 minuti e scendo.
Ma il tempo è relativo
il 3000 bussa alle porte
e io alla tua,
così puoi finalmente mostrarmi
la tua collezione di farfalle nello stomaco
e la loro dannata voglia di volare ancora.

di Gianluca Pavia da #WHISKEYESODACAUSTICA
Lié Larousse DuediRipicca www.libroarbitrio.com
#KEYOFLOVE di #VLADIMIRKUSH Kush Fine Art

365 giorni, BLACKOUT, Libroarbitrio

ANNO NUOVO E NUOVO FIRMA COPIE PER #BLACKOUT OSPITE IN CASA #FELTRINELLI !

promo black feltrinelli

…Quale migliore occasione se non quella del FIRMA COPIE per conoscere meglio un autore per la scelta del romanzo giusto!…

* Siamo lieti di invitarvi venerdì 18 gennaio, dalle ore 16:00 alle 20:00, e sabato 19 dalle ore 10:30 alle 12:30 per il firma copie del romanzo #blackout con l’autore Gianluca Pavia che si terrà presso il MEGASTORE FELTRINELLI di Viale Guglielmo Marconi 190 – (zona Marconi) #ROMA

* Sarà presente l’autrice Lié Larousse
* Copertina e progetto fotografico Gabriele Ferramola
* Stampa s.r.l. Danilo Fracassa
* Ufficio Stampa & Socialmedia LibroarbitrioLié Larousse
* Editore NED Edizioni

*** #BLACKOUT L’ALIENATO,
CINICO E SCORRETTO ROMANZO
DI CASA NEI PUB COME IN LIBRERIA! ***

Per info e saperne di più vai al sito degli autori
www.libroarbitrio.com
oppure scrivi a: duediripicca@yahoo.com

DuediRipicca

365 giorni, Libroarbitrio

ABBI CURA DI TE – Gianluca Pavia

Abbi cura di te - Gianluca Pavia - poesia

Abbi cura di te.
Lo so, sono il meno adatto
a dare consigli di questo tipo,
tipo: non credere allo sfascio
come stile di vita, è un bluff
o non ti sprecare
con chi si spreca da sé.
Tu
non mi ascoltare,
sei fantastica da sola,
quando ti muovi in una stanza
il mondo ti balla dietro,
mi balla dentro,
ma scegli bene le parole
con cui ti descrivi,
l’anima ascolta, prende appunti
poi
ti sbatte tutto in faccia.
E prendile quelle chiamate,
quelle importanti
e lo vedrai,
all’altro capo della linea
arrossire, sclerare
mentre ti dice: – cazzo,
sei speciale!
Fregatene della competizione
la parte migliore del viaggio
è il panorama, la meta
è per tutti la stessa.
Non mischiare mentos e coca
coca e keta
e se l’insicurezza lo permette
mettici un po’ di zucchero
nel tuo the verde,
dai, non sa di niente.
Chiedi sempre scusa
per gli errori che fai,
mai per ciò che sei
e non risparmiare sui sorrisi
bruciane quanti più ne hai,
scialacquare felicità è il primo requisito
per la rivoluzione.
Tieni gli occhi ben aperti
la vita è complicata già da sé,
anche se
le cose migliori, beh
accadono quando li chiudi:
i tuoi sogni, i miei baci
i nostri orgasmi.
E non ascoltare chi ha un sacco
di buoni consigli polverosi
buttati, lasciati andare
hai qualcosa di stupendo
dentro,
e troppi casini fuori
quindi
mettici un po’ di miele, nel the
sarà un giornata difficile
tu sorridi
e abbi cura di te.

 

Poesia di Gianluca Pavia
opera pittorica 
#NIGHTTIMERITUALS
di #JACKVETTRIANO

365 giorni, Libroarbitrio

CANTO DI NATALE – Racconto di Gianluca Pavia

heartbreakhotel

L’autobus si fermò con un lamento, e Nino prese l’uscita senza troppi convenevoli.
– Buon Natale anche a lei.- Fece ironico l’autista mentre le antine si richiudevano.
Non sapeva cosa stonasse di più: che gli avessero dato del lei, o che il Natale fosse spuntato dal nulla un’altra volta, subdolo come sempre. Eppure avrebbe dovuto intuirlo, nel mezzo pomeriggio speso per tornare a casa dal cantiere all’altra parte della città. Seduto su scomodi seggiolini pubblici, a guardare fuori la vita che scorreva sotto una pioggerellina sottile: il traffico frenetico nella sua stasi, i volti trasfigurati dei pedoni in entrata ed uscita dalle torri illuminate dei centri commerciali. Il fatto è che Nino stagnava in quel limbo tra i trenta e i quaranta in cui si è troppo giovani per certe cose, troppo vecchi per altre, e una spessa foschia avvolge tutto il resto. L’ascensore si fermò al piano. L’illuminazione andava e veniva mentre Nino cercava le chiavi nei pantaloni da lavoro. Quando le infilò nella toppa si rese conto del pacchetto fissato alla porta con dello scotch. Sul retro c’era una bigliettino. Aprì la porta e cercò l’interruttore al buio. Click, e ancora buio.
Click, click, click, sempre buio.
– Fantastico, hanno staccato la corrente.- Sibilò sull’uscio, e lesse il biglietto sotto la luce intermittente del pianerottolo.- Il tempo passa, le tradizioni rimangono. In qualche modo.
Non ebbe bisogno di leggere la firma, cacciò il pacchetto in una tasca ed entrò nell’oscurità dell’appartamento con un mezzo sorriso. Evitò a memoria i resti di posaceneri e bollette accartocciate, sedie pericolanti e spigoli infami. Aprì il frigo e ne pescò fuori mezza bottiglia di rosso, l’unico superstite in quel sarcofago abbandonato.
Si attaccò direttamente alla bottiglia entrando in bagno con la mano libera a sistemare le mutande sotto i pantaloni. Pisciò, tirò l’acqua e si sciacquò la faccia.
Fuori, in strada, qualche demente sparava i primi botti. Nel bagno, nello specchio semi oscurato, le sue rughe non erano così marcate, la vita bluffava sugli anni trascorsi.
Trascorsi da quando?” Rifletté abbandonandosi sul letto con ancora le scarpe antinfortunistica ai piedi.
Dalle tavolate immerse nel fumo di sigarette nazionali? Dal baccano di brindisi e auguri posticci? Dal Game Boy e quel cazzo di Tetris con la sua musichetta ipnotica?”
Si girò su un fianco e la carta del pacchetto nella tasca crepitò minacciosa.
O dai 24, 25 e 26 rinchiusi in una stanza, a bere vino e fare l’amore? Guardare i cartoni alla tele e sperare che un altro Natale si tolga dal cazzo. Leccarsi, mordersi, e spartirsi carni e liquidi come cenone.”
– Non era male come tradizione, per essere una tradizione.
Si girò ancora nel letto. Ora fissava il soffitto, o almeno quello che riusciva ad intravedere nel buio. Dalla finestra arrivavano sputi di luce, di addobbi e fari in strada. Qualche petardo e auguri tra sconosciuti dall’appartamento affianco. Natale non era mai stato piacevole, ma Nino aveva sempre trovato qualche modo per fotterlo, anche scordandosi della sua esistenza. Specialmente così. Questo giro non era quello buono. Lo sfondo nero del soffitto era la superficie ideale dove proiettare fantasmi che non gli appartenevano più, non appartenevano più a nessuno. Provò a dormire il sonno dei giusti, di chi si spacca la schiena per due spicci, e poi il fegato bevendosi via gli stessi spicci. Nisba, la sua mente aveva la stessa consistenza del soffitto, lo stesso peso specifico fatto di sorrisi, saliva e un rifugio sicuro. Pranzi, tombolate e scuse accampate pur di scappare via. La pelle di lei, i suoi gemiti, tutto era meglio di niente, e adesso gli rimaneva solo quello. Il niente.
Il telefono trillò in una tasca, il mondo non si era scordato di lui.
Forse era lei, o magari qualche parente lontano. Magari uno zio. Americano, ricco e in punto di morte.
No. Era solo il suo operatore telefonico che gli augurava un felice Natale, ricordandogli che per soli cinque euro in più avrebbe avuto tutti i giga che voleva per navigare durante le feste.
– Vaffanculo, meglio affogare.- Digrignò cercando la bottiglia di rosso.
Mezzo sorso e anche quella era andata. Prese il telecomando e accese la tv.
Una, due, tre volte. Si ricordò che non c’era corrente, l’avevano staccata. Cercò di provare un moto di disgusto per lo stronzo che gli aveva tagliato i fili proprio alla vigilia. Poi rimpianse che il giorno dopo sarebbe stato il venticinque e non poteva neanche lavorare, gli sarebbe toccato rimanersene a casa e bere vino, da solo. Sarebbe potuta andare peggio, tipo brindare con qualcuno.
Sbuffò, si alzò dal letto e in un attimo fu in strada.
L’aria era fredda, tagliava il volto come lamette arrugginite, e portava con sé l’aroma di agrumi sbucciati e il rovisto di qualche cane tra i secchioni dell’immondizia. Si accese una sigaretta stringendosi nel cappotto. L’asfalto era silenzioso eppure dai palazzi intorno a lui veniva il sommesso brusio di chiacchiere e tappi che saltano. Espirò l’ultima boccata di fumo che si aggrovigliò su se stessa salendo nella notte appena fuori l’unico bar aperto.
Entrò a testa bassa e filò al primo tavolino libero.
– ‘Sera Architetto, il solito?- Gli chiese il barista di cui non ricordava il nome, o magari non l’aveva mai saputo.
– Sì, grazie.
Si guardò intorno mentre aspettava il drink. Facce vecchie, stanche, allargavano le labbra e schioccavano lingue mandando giù stravecchi ed amari. Mani stringevano mani, labbra rispondevano auguri ad auguri, sguardi evitavano sguardi.
– Ecco qua, Architetto, il tuo Campari e vodka.- Sorrise la cameriera posando il bicchiere difronte a lui.- Buon Natale.
– Grazie…cara.- Non riusciva proprio a ricordarsi se si chiamasse Oana, Diana o con uno qualsiasi di quei nomi tanto in voga oltre la cortina.- E comunque non sono un architetto.
– Certo che lo sei.- Sorrise ancora la cameriera e se ne andò.
Ebbe il sentore che quel soprannome fosse una presa in giro. Perché lavorava in cantiere, o magari perché in più di un’occasione aveva ricordato a tutti quegli ubriaconi falliti lì seduti che almeno lui una laurea ce l’aveva. Solo che gli altri sbottavano a ridere, dandogli pacche sulle spalle e offrendogli da bere. Alla fine iniziò anche lui a dubitare d’averlo mai preso quel pezzo di carta, e chiedersi di cosa se ne fosse fatto, poi. Forse ci si era pulito il culo.
– Alla salute.- Brindò al vuoto e mandò giù il drink cercando di liberarsi da quei pensieri cancerogeni.
Le slot alle sue spalle suonavano come campane a festa. I disperati che le assediavano sbarravano gli occhi ed imprecavano come in qualsiasi altro giorno.
Dal primo all’ultimo dell’anno, stessa scena un giorno dopo l’altro. Per fortuna sullo schermo sopra il bancone passava il solito film natalizio a ricordare a tutti che quello era uno giorno speciale. Nino se lo ricordava a memoria, lo vedeva tutti gli anni da quando era piccolo. Non gli era mai piaciuto più di tanto, e poi la risata isterica di quell’attore di colore, falso invalido all’inizio del film, gli dava ai nervi, più o meno come l’idea di fondo che in un giorno speciale succede sempre qualcosa di speciale. Ordinò un altro giro e si guardò ancora intorno senza trovare nulla di speciale. Le stesse facce, gli stessi discorsi, le stesse sfighe di qualsiasi altro giorno. Eppure lui si trovava lì, in mezzo a loro.
Era forse quella la sua famiglia ora? Era come loro? Doveva brindare con loro?
Con vecchi, pazzi e beoni? Disperati gioco dipendenti ed alcolisti a tempo perso?
Erano brutti e senza scintilla negli occhi, nelle parole, eppure eccolo lì a salutarsi e scambiare quattro chiacchiere, a condividere tempo, spazio e solitudine. Tipo parenti serpenti che ti tocca sopportare.
Per quanto schifi quello che hai attorno, ce l’hai sempre attorno.
Corpi venivano ed andavano, come trascinati da una corrente invisibile.
Il film finì e c’era chi passava per un caffè dopo il cenone, chi per un amaro prima della pokerata, e chi, come lui e qualche altro, si limitava a mandar giù un bicchiere dopo l’altro.
La mente iniziò a rallentare, la palpebra a pesare, quando, d’un tratto, uno scoppio lo destò dalla sua programmata trance.
– Auguri, auguri a tutti!- Si sgolava il barista.- Questo giro l’offriamo noi.
Nino guardò l’orologio, mezzanotte ora locale.
– Ehi,- si sgolò verso il bancone – sei un po’ in ritardo.
– Che vuoi dire?- Chiese il barista intento a versare a spumante da discount in bicchieri sbeccati.- E’ mezzanotte, è nato Nostro Signore.
– Sì, ma vostro signore è nato ad un paio di fusi orari da qui. Avresti dovuto brindare due o tre ore fa.
Molti occhi si puntarono su di lui, stanchi, lucidi. Per lo più scivolarono via.
– Sei il solito stronzo.- Replicò il barista.- Per te niente champagne.
– Se quello è champagne,- fece Nino – ieri mi sono fatto Belen.
Applausi e schiamazzi soverchiarono il trambusto delle slot machine. Qualche simpaticone offrì addirittura un giro, o due. Nino ne aveva perso il conto, ne aveva perse di cose, ma la notte se ne sbatte e scivola via comunque, impassibile, immutabile.
– Allora come ti va, architetto?- Gli chiese il tizio che aveva offerto l’ultimo giro sedendosi al suo tavolo senza invito.
– Più che come toccherebbe capire dove.- Replicò lui studiando quel volto liscio.
– E comunque non sono architetto.
– Certo che lo sei!- Sghignazzò l’altro mollandogli una pacca sulla spalla.
Nino sbuffò dalle narici.
– Se mi tocchi ancora ti spacco la faccia.
Non era grosso, né eccessivamente cattivo, ma a volte bastano gli occhi ad allontanare gli scocciatori, specialmente se hanno una traccia di pazzia.
Il tizio se la filò ed il tempo riprese a scorrere liscio.
Doveva essere abbastanza tardi quando qualcosa catturò la sua attenzione.
Un paio di chiappe da urlo, strette in una minigonna jeans, si agitavano di fuori strusciando sulla vetrata del bar. Una ragazza discuteva animatamente con uno dei tanti disperati che frequentavano il bar.
– Ti ho detto di no, e mollami.- Urlò la ragazza.
Nino scolò l’ultimo goccio ed uscì fuori. Si appostò accanto ai due litiganti e si accese una sigaretta.
– E dai, Serena, che ti va. Lo so che ti va, non lo vuoi fare un po’ di zum zum con il vecchio Alfredo.
Serena aveva indosso solo quella minigonna ed un piumino da bancarella, e anche l’aria di chi attraversa la vita degli altri come un fantasma, lasciando un terrificante ricordo e nulla più.
– Appunto perché sei vecchio, lasciami stare.
I capelli erano lunghi e neri. Neri come può essere qualsiasi cattivo presagio, ma gli occhi brillavano. In quelle iridi c’era un nuovo giorno, l’orgoglio nonostante la sconfitta, il sangue che ribolle nelle vene. Qualcosa che Nino avrebbe solo potuto proiettare sul soffitto della sua camera.
– E non fare la stronza,- sibilò il vecchio, Alfredo, afferrandole un braccio – sei una puttana, no? Fammi questo bel regalo di Natale.
– Mollami, che mi fai male. Ti ho detto di no, è no.
Il vecchio alzò la mano libera per mollare un bel mal rovescio, Nino gettò la sigaretta a terra.
– Lasciala stare, ti ha detto di no.
I due si voltarono sorpresi, neanche dovessero scartare un regalo.
– Fatti gli affari tuoi.- Sibilò Serena.
– Hai sentito la zoccola?- Chiese il vecchio.- Sparisci Architetto.
La mano rugosa era pronta a calare, ma Nino fu più rapido. L’afferrò, liberò la ragazza dalla morsa sul braccio e spinse via il vecchio.
– Guarda che so difendermi da me.- Fece Serena.
– Ne sono sicuro.
Già, quegli occhi avrebbero fatto venire voglia a chiunque di perdercisi dentro. Non ne aveva il tempo però, Alfredo era un stronzo coriaceo, vecchia scuola.
– Ti sei fatto i cazzi tuoi, Architetto.
Il vecchio infilò una mano nella giacca e ne cacciò fuori una lama ben affilata. I clienti del bar guardavano tutti altrove, in fondo neanche quella era una scena tanto speciale da quelle parti. La lama scattò incontro a Nino che, pregando un dio che sarebbe dovuto già nascere da qualche ora, parecchi millenni prima, fu più rapido. Si mosse di lato e con un gancio ben assestato spedì il vecchio in un mondo in cui certe fregole si sublimano da sole.
– Porca puttana,- sbottò Serena stringendogli un braccio- l’hai sistemato per le feste, nel vero senso della parola.
Nino la guardò di traverso.
– Non usare quelle parole, non ti stanno bene.
– Che vuoi dire?
– Che sei una donna, devi mantenere una certa classe, uno stile.
Serena sorrise piantandogli lo sguardo dentro.
– Ehi, cocco, sono pur sempre una puttana.
– Anche le puttane hanno uno stile.
– Quelle che ce l’hanno fanno le veline, o il ministro.
Nino trattenne un sorriso.
– Ok, ci puoi stare, dammi una mano a sistemare il vecchio accanto ai secchioni e ti offro da bere.
Smaltito il rifiuto geriatrico si sedettero ad un tavolo e presero a bere. La ragazza era giovane ma teneva il ritmo senza problemi. Nino beveva, si sparava gli ultimi soldi e chiacchierava con lei come si conoscessero da una vita.
Musica, cinema, poesia, cazzate una dopo l’altra.
Non la vedevano allo stesso modo, anzi, diametralmente opposta, ma era piacevole parlare con un altro essere umano. Cazzo, sì, esistevano ancora.
– Vuoi dirmi che Fante non era ossessionato dal padre?- Chiese lei svuotando l’ennesimo amaro quando ormai il cielo annunciava un altro giorno di merda.
– Certo che n’era ossessionato, ma tutti abbiamo un’ossessione, e spesso la usiamo come scusa per rendere meglio in quello che facciamo.
Lei sembrò oscillare sull’incertezza di quelle parole.
– Non pensi mai a qualcuno con cui ti piaceva sul serio farlo, quando lo fai?
La domanda di Nino rimase sospesa in aria finché lei non si alzò in piedi.
– Te lo dico dopo, mi aspetti un attimo, vado in bagno e torno subito.
Fece cenno di sì e andò a pagare il conto mentre lei cercava la toilette.
I soldi non bastarono e dovette chiedere credito per gli ultimi due giri.
– Sei il solito stronzo.- Ripeté il barista.
– Probabile.- Replicò Nino uscendo fuori a fumare un’altra sigaretta.
Il nuovo giorno iniziava nel migliore dei modi: silenzio e poca gente in giro.
La vita non era poi così male, se non ci si badava troppo.
Il calore di un corpo contro il suo lo fece trasalire.
– Che vuoi fare? Andiamo da me?- Chiese Serena.
A momenti la sigaretta non gli cascò dalle labbra, mentre passava in rassegna quel corpo progettato da qualche sadico genio.
– Credevo che non volessi compagnia.
– Poche chiacchiere e più camminare.- Disse lei trascinandolo verso le case popolari vicino al mercato di quartiere.
Non parlarono lungo il tragitto. Nino si sentiva leggero, quasi inebriato. In parte per l’alcool, in parte per la prospettiva di un po’ di sesso. Quel corpo caldo incollato al suo smuoveva braci non del tutto assopite. La voglia di carne, di studiarsi a fondo, di darci dentro finché non si crolla esausti, sudati, e cazzo sì, in paradiso, lo faceva fremere come non succedeva da tempo.
Quanto tempo? Quanti Natali? Quanti risvegli in letti sconosciuti ed imbarazzanti compassioni lette in occhi estranei.
– Siamo arrivati, ti avverto, casa mia è una casino ma se non ti scandalizzi…
La voce di Serena era trillante, piena d’energia nonostante l’ora e l’alcool ingerito.
Nino fissò il portone, il vetro incastonato tra le assi di ferro, il suo riflesso.
Vide i suoi capelli allungarsi e farsi bianchi e unti. Il ventre da bevitore gonfiarsi. La barba farsi ispida e gli abiti rimanere gli stessi, solo conciati peggio, se possibile. Guardò il riflesso di lei, il loro, o un altro che non fosse il loro. Immagini che potevano essere ricordi o premonizioni. Solitudini collimate in una compensazione inutile, se non ad inacidire il bicchiere da cui a tutti tocca bere, e con cui non c’è un cazzo a cui brindare.
– Non salgo.- Disse il suo riflesso con le labbra rovinate.
– Che vuoi dire?- Stizzì lei dal vetro.
– Che non c’è niente di speciale neanche in una notte “speciale”.
– Sei uno stronzo.
– Lo dicono in tanti.
Il portone si aprì e Serena era quasi sparita dentro quando lui l’afferrò per un braccio, delicatamente.
– Buon Natale.- Disse pescando il pacchetto dalla tasca, quello che gli aveva recapitato qualcuno che non voleva avere niente a che fare con lui, non più.
– Vaffanculo.
Il portone si richiuse e Nino rimase qualche istante a fissare il suo riflesso invecchiato. Poi si aprì ancora, una mano gli strappò il pacchetto e scomparii. Era ormai giorno e quei pochi a cui toccava lavorare pure quella mattina scendevano in strada. I passi di Nino si diressero incerti verso casa. Era stanco, senza forze o idee su cosa lo aspettasse. Nulla di speciale, comunque.
– Almeno un altro Natale ce lo siamo tolto dal cazzo.

365 giorni, BLACKOUT, Lié Larousse, Libroarbitrio

A NATALE NON PASSARE IL TEMPO A TOGLIERE I CANDITI DAL PANETTONE, REGALATI UN LIBRO!

Quale migliore occasione se non quella dei doni natalizi per regalare e regalarti un libro!

 

 

 

NON LITIGATE!

 

Manca meno di una settimana al pigiama party più famoso di tutto il mondo, eppure sembra ieri agosto, il mare, le fanciulle in bikini, l’abbronzatura total body, la birra all’una di notte a rinfrescarci mentre facciamo l’amore con una sconosciuta svedese in spiaggia, e invece no, è dicembre e il freddo gela, una sconosciuta giù all’angolo vuole venderti fiammiferi, un uomo arrabbiato con la faccia pelosa e verde bofonchia che rovinerà il pigiama party a tutta la popolazione, e dalla televisione, seppur spenta, con un richiamo ipnotico, arriva l’eco dell’inconfondibile risata di un americano negro e con la pelata, e allora sì, a conti fatti Natale è proprio alle porte.
Ma non tutti i natali vengono per nuocere!
Stanno finalmente per arrivare giorni di relax da dedicare a noi, alla famiglia,  agli amici, e soprattutto sta arrivando il giorno in cui ci è permesso farci un regalo senza sentirci in colpa! E l’aria prende tutto un’altro profumo, calore, folklore: e sentiamo tirare una o due bestemmie qua e là  per una partitella a tresette e a briscola, assistiamo a sminuzzamenti di buccia di mandarino per le caselle della tombola sbiadita di nonna, affettiamo di nascosto una fetta di Pandoro e salame masticando Torrone togliendo i canditi al Panettone, togliendo l’uvetta al Panettone, togliendo di mezzo il Panettone, apriamo la porta a zii e cugini ritardatari che nemmeno riconosciamo, e poi tutti assieme uniti in una sola voce diamo il via al pigiama party con il canto che lo ha reso celebre, e di cui tutti sappiamo assolutissimamente le parole SCARTA LA CARTA SCARTA LA CARTA.
E tu lo scarti il regalo di zia la sconosciuta, pure con un mezzo sorriso preso dall’enfasi, ma giusto mezzo, perché sì, sarebbe stato davvero solo meglio il pensiero, ma alla fine, davvero alla fine, tu e il tuo maglione di lana puncicoso con su il muso felice di una renna ubriaca cucita a punto a croce, finalmente, aggiri il totem, da sotto l’albero di Natale afferri il tuo pacchetto, quello contenente il tuo regalo che ti sei andato a scegliere, e che ti sei fatto impacchettare dalle mani sottili di una giovane e bellissima commessa, più precaria di zio Augusto alla terza boccia di rosso. Lo scarti in un santissimo silenzio, gioisci muto all’apparire dell’intonsa copertina, e con lo stesso silenzio sotto braccio e l’animo davvero felice t’accasci inerme, nella prima poltrona libera che trovi, e sempre finalmente, dico finalmente, puoi goderti il tuo nuovo libro in tutto relax.

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Se ti servono consigli per la scelta del romanzo giusto, eccoti una lista dei nostri libri, i link dove poterlo acquistare online ma anche i negozi dove trovarli, inoltre tante novità, tra gialli, thriller, storie d’amore e racconti storici di amici scrittori.
Insomma  tanti libri su cui puntare per farti felice, e fare felice qualcuno con un regalo speciale.

 

BLACK OUT di Gianluca Pavia Romanzo Noir Tragicomico
https://www.amazon.it/Black-out-Gianluca-Pavia/dp/8894120473

SPIETATE SPERANZE di Gianluca Pavia Raccolta di Poesie
https://www.amazon.it/Spietate-speranze-Gianluca-Pavia/dp/8899815445

POKER D’INCUBI di DuediRipicca raccolta di Racconti e Poesie
https://www.amazon.it/Poker-dincubi-DuediRipicca/dp/8893330644

.Lié. di Lié Larousse raccolta di Poesie
https://www.amazon.it/Li%C3%A9-Larousse/dp/8899815429

I nostri punti vendita a Roma:
La Feltrinelli LIBRI E MUSICA Viale Guglielmo Marconi 190  zona Marconi
T.P.H. GALLERY & BOOK Via delle Tre Cannelle 8                      zona Corso-p.Venezia
I TRAPEZISTI Via Laura Mantegazza 37                                       zona Monteverde
LIBRERIA TEATRO TLON Via Federico Nansen 14                     zona Ostiense
BOOK FELIZ Corso duca di Genova 68                                         Ostia
LIBRERIA INCIPIT  Via Giuseppe Marcotti 51/53                        zona Tiburtina
EDICOLA CALZETTA Via Portuense    713                                    zona Trullo/Portuense

 

 

 

Gianluca Pavia & Lié Larousse/ DiediRipicca
fb page DuediRipiccaLibroarbitrio,  2drartgallery
contact: duediripicca@yahoo.com

Photo Credit: Gabriele Ferramola
Location Eternal city brewing – ECB

#christmasbook #regalodinatale

365 giorni, Libroarbitrio

A UN SEMAFORO – di Gianluca Pavia

poesia Pavia

Era un semaforo.
E’ stato a un semaforo su via Ostiense
di quelli dove il bangladino si digievolve 
in supersayan di settordicesimo livello,
e ti ha già venduto tutto, anche la tua macchina
e lo stronzo col suv ti taglia la strada
perfino così, praticamente da fermo
e governo ladro, se piove
governo ladro e fascista a 5 stelle
piove merda a catinelle.
E’ stato a un semaforo sull’Ostiense
di quelli che durano un’eternità,
quanto Le quattro stagioni di Vivaldi
– o una 4 stagioni del pizzaiolo egiziano
a lievitazione naturale dei miei coglioni –
e i pischelli di Libetta escono marci dall’after
ed è ancora rosso,
e il Papa rappa l’Angelus per avvicinare i giovani
e il Gazometro prende fuoco
ed è ancora rosso acceso,
e Optimus Prime è diventato vegano
il rosso del semaforo un Kandinsky monotono
– arancione meccanico, 20:01
odissea nel traffico romano – .
Quando la spia della riserva è accesa
dal Pleistocene, il tuo diesel era ancora un T-Rex
e gli harleysti picchiano stronzi fighetti su T-Max
i piccioni ti prendono di mira
e una blogger, nella Micra
– truccandosi nel retrovisore –
tampona il suv di prima
e fanno il CID come fosse amore
e passano altri 9 mesi, al semaforo
per dare luce verde, gialla e rossa
a un figlio terrapiattista,
radicalchic e trapper.
E’ stato a quel semaforo sull’Ostiense,
adesso verde,
marcia in folle freno a mano tirato
il mondo tutto un clacson
a questo semaforo sull’Ostiense
ho capito che senza di te
non riesco ad andare avanti.

Ci vediamo sabato 15 presso la Biblioteca Longhena
per Presentazione del libro “Black-out” di Gianluca Pavia
Chi non viene può restarsene al semaforo