365 giorni, Libroarbitrio

I NUOVI GIUSTI – Giuseppe Conte

in Wroclaw, Poland

Il medico tra i contagiati senza l’equipaggiamento dovuto
l’infermiere che per chi muore ha un sorriso come ultimo saluto
il vecchio solo chiuso in casa che beve un bicchiere di vino
la ragazza piena di piercing che fa la spesa al vicino
chi a una coda lascia in silenzio chi gli passi qualcuno davanti
chi prega il proprio Dio per tutti, prossimi o distanti
chi ha pietà della Madre Terra, in questa deserta primavera
chi legge per consolarsi Whitman e Borges ogni sera
chi pensa che alla fine tutto dovrà essere rivoltato
chi giudica il culto idolatrico del profitto un reato
chi continua a lavorare umilmente amando quello che fa
Francesco sotto la pioggia con Cristo in piazza San Pietro,
loro sono i nuovi giusti, di un tempo così tetro.

 

Può la poesia dialogare con il presente?
Sa dare voce a un oggi fatto di solitudine, dolore e speranza?

Questa la domanda posta da la Lettura,
l’inedito sopra è la risposta del poeta Giuseppe Conte

365 giorni, Libroarbitrio

TORNEREMO – poesia di DuediRipicca – Lié Larousse – Gianluca Pavia

Georges_Seurat_-_Un_dimanche_après-midi_à_l'île_de_la_Grande_Jatte
 
Torneranno gli abbracci
le capriole su un prato
fare insieme le quattro
due chiacchiere e
un bicchiere via l’altro.
Ci sarà musica dalle case
per le strade, accordi
s’incontreranno di nuovo
come i bambini gli amici sul lungomare
le madri tirate da cani il doppio di loro
i nonni, seduti pigri, che ripetono:
– belli miei, tutto questo è oro.
Sono sempre qua
non li abbiamo persi
solo messi da parte,
tipo il servizio di zia, quello buono
e quando sarà andato tutto bene
quando sarà il momento
tireremo fuori felici
i nostri sorrisi leggeri
i segreti sussurrati all’orecchio
lo stringerci la mano
stringerci più forte, più forti
parlarsi guardandosi negli occhi
diamanti fragili come bicchieri
grezzi
come ginocchia sbucciate
inseguendo un pallone.
Torneremo noi
pronti a fare festa,
ad annoiarci alle feste,
a schivare la gente
per libero arbitrio
e non per un decreto,
e con noi tornerà la voglia,
il bisogno di toccarsi
annusarsi
baciarci
le labbra, l’anima
senza paura di farci male
senza chiedere: – si può fare?
Torneremo
perché non ce ne siamo mai andati
perché non ci siamo mai arresi.
 
DuediRipicca – Lié Larousse – Gianluca Pavia
George Seurat – Una domenica pomeriggio sull’isola della Grande-Jatte
365 giorni

CIN CIN – Gianluca Pavia – Edizioni Bestseller Books

Gianluca Pavia e la madre Giulietta (1990) - poesia CIN CIN.jpg

Oggi
sarebbe stato il tuo compleanno.
Avremmo festeggiato al solito:
antipasto, arrosto
e due bottiglie di rosso,
una serata a raccontarci
la vita che non si racconta.
Ci saremo asciugati le lacrime
ridendo del male, del bene
del vizio di bere.
I tuoi capelli vaporosi
la tuta stretta sui fianchi larghi
non avrei mai pensato
potessero mancarmi.
E invece guardami ora
disordinato come sempre
fragile come non mai
come i tuoi posacenere di cristallo
da riempire fino ad ammazzarti.
Perché la vita
la prendiamo sempre sottogamba
ma la morte falcia in scivolata
da dietro,
rosso diretto dritto sotto la doccia,
o in fondo al mare
con le onde che ti cullano
come non ho fatto mai
come non potrò fare più.
Posso solo brindare
ora e per sempre
cin cin
e buon compleanno.

di Gianluca Pavia

estratto dalla nuova raccolta #WHISKEYESODACAUSTICA
uscita 2020 per #BESTSELLERBOOKS
Lié Larousse DuediRipicca
#staytuned #stayduediripicca

 

365 giorni, Libroarbitrio

.alla nostra. – Lié Larousse

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.la mia rovina
tu, qui
il mio naso al tuo collo
e questo odore che hai
la bocca a mangiarci
e lascia perdere di guidare
e questo sentirti afferrarmi
le tue mani ai miei seni
che baci e lecchi
la mia lingua a giocarti
e scoprire il sapore
che a pelle contro pelle ha la carne
mordendoti forte
piegata la mia schiena a te
e le mie labbra poi
che esplodono in un grido dolce
per chiudersi morbide
avvolgerti
e bere
alla nostra.

365 giorni, Libroarbitrio

BELLI VERI PER DAVVERO – Lié Larousse

pinterest ferri
.ecco sì, è così
gli uomini innamorati
sono belli veri per davvero
con quel loro cuore grande
dal sorriso forte,
il respiro sereno, le mani buone
e i piedi che non inciampano
la voce che non grida brutte parole,
riescono a placarti le ansie
avendo perso ognuna delle loro
e non s’accorgono del tempo
che se ne va
dimenticate le sofferenze
ne hanno talmente tanto
tutto sparpagliato
in un mondo di capelli, pelle
e baci profumati
che stanno giusto ora scoprendo
senza più il bisogno
di racimolarlo né inventarlo
come in quelle strane mattine
quando è ancora notte
e l’alba
s’è bevuta la sua stessa ascesa
giù
al solito pub
e hai voglia tu, ad aspettarla.

Lié Larousse

DuediRipicca
#RobertoFerriinnamorati

365 giorni, Libroarbitrio

Socialmente disturbata o disturbata dal sociale? – L.L.

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Ancora non l’ho capito
Sarà
Perché io non mangio
quello che voi mangiate
Perché io non parlo e non sto zitta
come voi dite o tacete
Perché io non dormo
come, dove e quando voi dormite
Perché io nascondo il mio volto
quando voi invece non fate vedere la vostra faccia
Perché io amo la pittura delle nuvole e giocare col cielo
mentre voi amate plasmarvi dai plasma impilati nei centri commerciali
Perché io sono puntuale e ho i capelli rossi
voi non avete orologi e occhi solo per le bionde e le brune
Perché io non sono commestibile, gestibile né digeribile
voi ingurgitate gestite e digerite tutta la merda che vi passano per “alta cucina”
Perché io nonostante tutto rido e sono felice
voi avete musi lunghi e ridete per deridere
Perché io sono complicata come quello che scrivo
mentre a voi piacciono le cose facili, parole frasi cliché da cogliere al volo e copiare
Perché io non sono niente che già conoscete e il nulla di sicuro
e in un primo momento volete stare con me
ci fate su pure un bel pensierino
ma l’attimo dopo
il cervello v’è andato in tilt
e ve ne state alla larga
nei vostri limiti di tutto questo essermi diversi

Ed ora, come sempre, state pensando
– che stronza, arrogante e presuntuosa.

Io mi sento solo sola.

Ma per carità,
restate dove state!

 

 

365 giorni, Libroarbitrio

I MIGLIORI – Lindze

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Non c’è più.

Una notte di quiete.

Due uomini poggiati
sulla ringhiera di un attico
una periferia disastrata.
Bicchieri di alcol
e fumo di sigarette
a sostituire parole
che tanto non verranno
pronunciate.

Sguardi lucidi, fissi nel buio.

Neanche ci provano
a trafiggere,
a capire
quelle tenebre.
Silenzio,
per condividere
quello che non si vuole dire
ma che sta lì
ingombrante e amorfo
come l’ombra gettata
da una creatura
scellerata e informe.
Un ultimo tiro
poi
il dito che lancia la cicca
in aria,
la spirale discendente
di quella brace
che cade,
che si poggia a terra
in un ultimo ardore
per poi spegnersi
sopraffatta
da bui troppo intensi.

Una mano afferra
il bicchiere, l’altra
stringe la spalla
dell’uomo rimasto a fumare,
una volta ancora
per esprimere
quello che non si ha la forza
di pronunciare.
Il corpo che si volta
e va verso la casa illuminata
e l’altro che rimane così,
poggiato su quella ringhiera.

Con le sue spalle curve
graffiate dalla luce
che proviene
dall’interno
e il suo volto
perso
nelle maree
di quella notte.

365 giorni, Libroarbitrio

“Dittico testamentario” di Lorenzo Migliorini & Lorenzo Farfarelli

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Quanno moro

 Quanno moro, vojo

esse seppellito in riva

ar mare,

vicino a no scojo,

pe famme consumà

la carne dar vento e dar sale.

Roso da li vermini

ne la terra nuda,

ignudo come quanno

so’ sortito dar ventre de mi madre.

Da vivo c’è sempre quarcuno

che te dice cosa fare,

da morto fateme fà

come me pare.

di Lorenzo Migliorini

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Er testamento de Lollo

Quanno che me moro fateme er favore,

tumulateme ‘n campagna, ar paese mio

lontano da Roma, lontano dar rumore

e teneteme a distanza pure da dio:

che mentre ‘sto lì inerme a fermentare

nun c’ho voja de sentì er prete fa la messa:

so’ ateo, nun ce credo a quer piagnucolare

la mia storia ‘n paradiso è compromessa.

Vojo ‘na funzione semplice e veloce

vojo li Black Sabbath a palla: Electric Funeral

e bira a galloni e canti viva voce

‘na cagnara da sentisse insino er Nepal.

E nun vojo musi lunghi o piagnistei,

che la morte è solo na’ trasformazione

che si ce pensate bene amici miei,

è l’antra faccia dell’umana condizione…

A trovamme ar cimitero nun venite ,

lasciateme ‘no spazio ner vostro core

e ner mentre che bevete l’acquavite

brinderete a Lollo vostro con amore.

Ricordateve ‘nfine n’urtima lezione,

che la morte nun è dura pe’ chi è morto

perché dell’uman dolore è l’estinzione:

è pe’ chi resta che è dolor e sconforto.

Io ner mentre scoprirò er grande mistero,

cor soriso j’andrò ‘ncontro serenamente,

spero solo, ovunque vada su ner cielo

che ce sarà  bira, vino e uischi sufficiente.

Er tempo ‘ntanto m’avrà mutato,

e io sarò arbero, sarò erba, sarò ‘n fiore,

sarò ‘n lago, sarò der lupo l’ululato

sarò er silenzio fra ‘n battito de core.

di Lorenzo Farfarelli 

365 giorni, Libroarbitrio

“Gulliver” Sylvia Plath

Sirkkary - Alice In Wonderland series

Di te, là sulla tua
Schiena, con gli occhi al cielo
Gli uomini-ragno t’han preso,

Avvolgendo e tirando i loro minuscoli ceppi
I loro tranelli –
Di seta.

Quanto ti odiano.
Nella valle delle tue dita conversano, vermiciattoli.
Vorrebbero farti dormire nei loro stanzini,
Fare reliquie dei diti dei tuoi piedi.
Scappa via!

365 giorni, Libroarbitrio

“Senza er titolo” di Lollo

Willem Haenraets, Heerlen, Netherlands

Er locale era fatiscente, fumoso,

loschi tizi  magnavano pajate

l’oste li cioccava minaccioso

in quell’antro de vite disperate

litri ‘ngurgitati, de vino velenoso

Entrava silenzioso, senza rumore,

mettennose seduto sur bancone

e beveva serio, con abnegazzione

bicchieri su bicchieri de liquore

Anni e anni de pura alienazione,

nun mancava manco de natale

co’ na particolare  dedizione

comme se stesse a lavorare

Ma era troppo  distinto quer signore

pe confonnese co’ tutti quei pezzenti

“ma chi è?” la domanda sibiliva fra li denti

avvertenno quei cenciosi…come ‘no stridore

Poi s’arzava barcollanno, senza parole

cor passo strascicato e ossa rotte

uscenno ar buio, senza un  timore

confonnennosse co’ l’atro della notte

Dove annava nisuno lo sapeva

manco er nome l’oste conosceva

beveva pe’ scordà?

o beveva pe’ nun provà dolore?

a’ndo’ annava a riposà?

perchè ci aveva addosso quer grigiore?

Poi ‘na giornata grigia e uggiosa

nun se presentò ar solito locale,

fu strano: come si mancasse quarcosa

che ‘na presenza silenziosa, bene o male,

s’empone più de quarsiasi cosa

Nisuno se sorprese quanno ar madino

lo trovorno in un brutto vicoletto

sdraiato, posa d’anfarto e artijo sur petto

occhi sbarati da mpaurì pure ‘n becchino

fissi su ‘na mano che strigneva ‘n fojettino,

comme se prima te tirà l’urtimo fiato

volesse pe n’urtima vorta da’ commiato

ar concetto racchiuso in quer pizzino

Fu dura pe li miliziani aprije quella mano

credendo de trovacce un quarche indizio

na via, un nome er numero de ‘n  tizio

che potesse tanto tanto…svelaje quell’arcano

de chi fosse quell’omo senza documenti

senza storia, nome e  amici o precedenti

‘na specie de fantasma ‘n carne ossa

pe daje identità…prima della fossa

‘nvece se ritrovorno a fissare con stupore

‘n pezzo de carta co’ su scritto tre parole

e ner silenzio de quella scena angosciosa

er maggiore lesse solo: “bocciolo di rosa”

Ner locale ‘ntanto se beveva duro,

pe’ nun richiamà er passato

pe’ nun pensà ar futuro,

c’era ancora quarche disperato

che parlava der tizio silenzioso

ma ereno in pochi a pensacce ancora

che lo scorre der tempo e  vin copioso

manna tutto, ineluttabirmente …alla malora.