365 giorni, Libroarbitrio

ROMAMOR – NATALE DI ROMA – poesia di Lié Larousse & Gianluca Pavia – DuediRipicca

natale-di-roma- poesia di Lié Larousse e Gianluca Pavia

Torneremo ad abbracciarti passeggiandoti le strade.
Auguri Mamma Roma, auguri Roma nostra 🍻

RomAmoR

E’ questa la mia città
d’amore scritto
inciso
dipinto sui muri
e supereroi per ogni quartiere.
La Roma dei tre scrocchi
e trenta denari,
di luci e ombre,
la Roma di lucciole
trans e gigolò,
benvenuti nel dope show
ma niente Marilyn Manson
qui solo Richard Benson.
Il poeta Nicolino Pompa
gli artisti di strada
e strade d’artisti,
– Guarda mago guarda – a Trilussa
e Campo de’ Fiori,
un prato fiorito
di fori di proiettile
giù, alle case popolari.
La Roma per bene,
la Roma da bere:
maestri brillanti
e mastri birrai,
le feste in centro
i rave
gli after,
polveri sottili e rum e coca;
cola il sangue sul sampietrino
cala la notte su San Pietro
Monti, Magliana, Testaccio
come Silvestri: granitico, testardo
perché ancora to vojo di’
Roma mia, quanto te amo.

di DuediRipicca Lié Larousse Gianluca Pavia

#romamor #natalediroma #mammaroma #poesia

365 giorni, Libroarbitrio

– Cos’è l’amore? – poesia di Gianluca Pavia

cos'è l'amore - Pavia

 

 

 

Durante una presentazione,

tempo fa, una signora mi ha chiesto:

– che cos’è l’amore?

Bella domanda, da un milione di dollari

e se sapessi rispondere non scriverei libri

da 80 centesimi di diritti a copia.

Certo,

non è questo brand lowcost

candeggiato dal pop,

di poesie strappa like

e serenate spotify.

L’amore è un tocco, leggero,

che manda il cuore in buca d’angolo,

una chiave, magnetica, che apre

la gabbia toracica, perché sì

l’amore è un colibrì

che per una volta se la prende comoda,

non frulla le ali frenetico

si posa pigro su un fiore

e gli sussurra tra i petali

che l’amore è un padre

che torna da otto ore di cantiere,

anima rotta occhi gonfi

perché non ha giocattoli, solo mani,

spaccate di lavoro,

che spezzano un tozzo di pane,

è il sorriso dei suoi figli

felici che il gioco se lo fanno

con le briciole sulla tovaglia.

L’amore sono i miei fratelli e sorelle

che ogni giorno mi levano di testa

la mia corona di spine, e la sera

brindiamo con una media, alla spina

e non è mai una Corona.

L’amore è Dio che mi parla

dallo sguardo di un gabbiano,

lo sciabordio delle onde

quando sono lontano.

L’amore è mia nonna

che ha salutato due figli

quasi senza piangere,

e quando la vado a trovare

mi fa: – tu, vedi di vivere,

l’amore è mia madre, in cucina

che canta, stonata, bésame,

bésame mucho.

L’amore è tutto e niente

la donna a cui continui a pensare

nonostante sia rimasto solo il male,

l’uomo che aspetterai fino alla fine del mondo

e ancora una vita ancora dopo.

L’amore sono io

che scrivo questa poesia,

l’amore sei tu

che la stai leggendo,

è chi ti sta accanto

e mentre sorridi, piano

ti fa: – se non sai cos’è l’amore

vieni qua, che te lo voglio spiegare,

insegnare, ma senza troppe parole

che tanto quelle non servono.

Invece di parlare, con le labbra

puoi farci cose migliori

puoi salvarci l’universo.

 

di Gianluca Pavia
Estratta dal nuovo libro
“WHISKEY & SODA CAUSTICA d’amore, di vita, morte e altri casini”
in vendita in tutte le libreria e nei maggiori canali di distribuzione on-line.

 

PREMIERE DEL LIBRO
VENERDÌ 6 MARZO ORE 18:30

AD ACCOMPAGNARE IL LIVE READING DELL’AUTORE 
IL CANTANTE E CHITARRISTA EMILIO STELLA

RED LA FELTRINELLI
VIA TOMACELLI, 26
ROMA

 

 

 

365 giorni

CIN CIN – Gianluca Pavia – Edizioni Bestseller Books

Gianluca Pavia e la madre Giulietta (1990) - poesia CIN CIN.jpg

Oggi
sarebbe stato il tuo compleanno.
Avremmo festeggiato al solito:
antipasto, arrosto
e due bottiglie di rosso,
una serata a raccontarci
la vita che non si racconta.
Ci saremo asciugati le lacrime
ridendo del male, del bene
del vizio di bere.
I tuoi capelli vaporosi
la tuta stretta sui fianchi larghi
non avrei mai pensato
potessero mancarmi.
E invece guardami ora
disordinato come sempre
fragile come non mai
come i tuoi posacenere di cristallo
da riempire fino ad ammazzarti.
Perché la vita
la prendiamo sempre sottogamba
ma la morte falcia in scivolata
da dietro,
rosso diretto dritto sotto la doccia,
o in fondo al mare
con le onde che ti cullano
come non ho fatto mai
come non potrò fare più.
Posso solo brindare
ora e per sempre
cin cin
e buon compleanno.

di Gianluca Pavia

estratto dalla nuova raccolta #WHISKEYESODACAUSTICA
uscita 2020 per #BESTSELLERBOOKS
Lié Larousse DuediRipicca
#staytuned #stayduediripicca

 

365 giorni, Libroarbitrio

BUON COMPLEANNO LIBROARBITRIO

immagine Libroarbitrio  365 giorni.jpg
Oggi di sette anni fa aprivo il mio sito e blog di letteratura ed arte LIBROARBITRIO, postando ogni giorno, per 365 giorni, una poesia, o un testo letterario, accompagnati da un’opera pittorica, entrambi di artisti di tutto il mondo. Il mio bisogno era, sentendomi straordinariamente ignorante, riprendere lo studio delle mie due materie preferite ed avere modo di conoscermi, di conoscere la mia scrittura, e il mio personale punto di vista sul mondo dell’arte. Non avevo grandi aspettative, speravo solo di essere utile a chi come me sentiva il bisogno di ricominciare semplicemente daccapo. Non ero per niente pratica, anzi ad essere proprio sincera, non sapevo da dove cominciare né come si facesse, avevo solo un vecchissimo pc, un’idea, e un’infinità di libri da rispolverare, perciò è grazie a Gianfabio Lupo e Alessio Evviva Dantignana se oggi LIBROARBITRIO compie sette anni, che con la loro esperienza telematica e (psicologica) mi hanno dato i mezzi per cominciare ed andare avanti. Il primo grazie e tanti auguri va proprio a voi due, poi a tutti i 129,559 lettori che giorno dopo giorno studiano con me, e che continuano a seguirmi e a consigliarmi, alle scuole, alle biblioteche, e a tutti gli artisti, scrittori, pittori, cineasti, che hanno preso a cuore il mio blog facendolo loro.
 
AUGURI LIBROARBITRIO 🥰AUGURI A TUTTI NOI🥂🥳
365 giorni, Libroarbitrio

I nostri nuovi libri saranno pubblicati da BESTSELLER BOOKS!

Firma contratti Bestseller Books

Una nuova eccitante avventura per noi tutta “americana”!
Onorati di essere stati scelti dalla BESTSELLER BOOKS & Co. per la loro nuova collana d’autori italiani, assieme a nomi importanti della letteratura contemporanea, con i nostri nuovi libri: “WHISKEY & SODA CAUSTICA” (Gianluca Pavia) e “.la vita comunque.” (Lié Larousse)
L’uscita è prevista per Febbraio 2020, intanto ci teniamo a ringraziare tutti coloro che ci sostengono, credono in noi, e ci leggono.

#bestseller #bestsellerbookseco #lavitacomunque #WHISKEYESODACAUSTICA
#autoriitaliani
DuediRipicca Libroarbitrio
www.libroarbitrio.com

fotoinstagram

Contacts: Fb: Gianluca PaviaLié LarousseDuediRipicca
Web: www.libroarbitrio.com
Per ricevere una copia dei libri con dedica degli autori scrivere a: duediripicca@yahoo.com
lielarousse@yahoo.it
PUOI ACQUISTARE I NOSTRI LIBRI IN TUTTE LE LIBRERIE NAZIONALI E ANCHE ONLINE AI LINK DI SEGUITO
365 giorni, Libroarbitrio

Oggi e domani gli autori Lié Larousse e Gianluca Pavia alla libreria FELTRINELLI LIBRI & MUSICA MARCONI – Roma

PROMO FIRMA COPIE FELTRINELLI MARCONI

Oggi pomeriggio dalle ore 16:00 alle ore 20:00 e domani pomeriggio (stesso orario) gli autori romani Lié Larousse e Gianluca Pavia saranno alla Feltrinelli Libri & Musica per firmare le copie dei loro libri: BLACKOUT (romanzo), SPIETATE SPERANZE (poesia), .Lié. (poesia).

Cogliete prima di tutto l’occasione per farvi un giro in libreria ed aggiornarvi sulle ultime uscite, e le novità che i due autori hanno in serbo.

#IOLEGGO

365 giorni, Libroarbitrio

CANTO DI NATALE – Racconto di Gianluca Pavia

heartbreakhotel

L’autobus si fermò con un lamento, e Nino prese l’uscita senza troppi convenevoli.
– Buon Natale anche a lei.- Fece ironico l’autista mentre le antine si richiudevano.
Non sapeva cosa stonasse di più: che gli avessero dato del lei, o che il Natale fosse spuntato dal nulla un’altra volta, subdolo come sempre. Eppure avrebbe dovuto intuirlo, nel mezzo pomeriggio speso per tornare a casa dal cantiere all’altra parte della città. Seduto su scomodi seggiolini pubblici, a guardare fuori la vita che scorreva sotto una pioggerellina sottile: il traffico frenetico nella sua stasi, i volti trasfigurati dei pedoni in entrata ed uscita dalle torri illuminate dei centri commerciali. Il fatto è che Nino stagnava in quel limbo tra i trenta e i quaranta in cui si è troppo giovani per certe cose, troppo vecchi per altre, e una spessa foschia avvolge tutto il resto. L’ascensore si fermò al piano. L’illuminazione andava e veniva mentre Nino cercava le chiavi nei pantaloni da lavoro. Quando le infilò nella toppa si rese conto del pacchetto fissato alla porta con dello scotch. Sul retro c’era una bigliettino. Aprì la porta e cercò l’interruttore al buio. Click, e ancora buio.
Click, click, click, sempre buio.
– Fantastico, hanno staccato la corrente.- Sibilò sull’uscio, e lesse il biglietto sotto la luce intermittente del pianerottolo.- Il tempo passa, le tradizioni rimangono. In qualche modo.
Non ebbe bisogno di leggere la firma, cacciò il pacchetto in una tasca ed entrò nell’oscurità dell’appartamento con un mezzo sorriso. Evitò a memoria i resti di posaceneri e bollette accartocciate, sedie pericolanti e spigoli infami. Aprì il frigo e ne pescò fuori mezza bottiglia di rosso, l’unico superstite in quel sarcofago abbandonato.
Si attaccò direttamente alla bottiglia entrando in bagno con la mano libera a sistemare le mutande sotto i pantaloni. Pisciò, tirò l’acqua e si sciacquò la faccia.
Fuori, in strada, qualche demente sparava i primi botti. Nel bagno, nello specchio semi oscurato, le sue rughe non erano così marcate, la vita bluffava sugli anni trascorsi.
Trascorsi da quando?” Rifletté abbandonandosi sul letto con ancora le scarpe antinfortunistica ai piedi.
Dalle tavolate immerse nel fumo di sigarette nazionali? Dal baccano di brindisi e auguri posticci? Dal Game Boy e quel cazzo di Tetris con la sua musichetta ipnotica?”
Si girò su un fianco e la carta del pacchetto nella tasca crepitò minacciosa.
O dai 24, 25 e 26 rinchiusi in una stanza, a bere vino e fare l’amore? Guardare i cartoni alla tele e sperare che un altro Natale si tolga dal cazzo. Leccarsi, mordersi, e spartirsi carni e liquidi come cenone.”
– Non era male come tradizione, per essere una tradizione.
Si girò ancora nel letto. Ora fissava il soffitto, o almeno quello che riusciva ad intravedere nel buio. Dalla finestra arrivavano sputi di luce, di addobbi e fari in strada. Qualche petardo e auguri tra sconosciuti dall’appartamento affianco. Natale non era mai stato piacevole, ma Nino aveva sempre trovato qualche modo per fotterlo, anche scordandosi della sua esistenza. Specialmente così. Questo giro non era quello buono. Lo sfondo nero del soffitto era la superficie ideale dove proiettare fantasmi che non gli appartenevano più, non appartenevano più a nessuno. Provò a dormire il sonno dei giusti, di chi si spacca la schiena per due spicci, e poi il fegato bevendosi via gli stessi spicci. Nisba, la sua mente aveva la stessa consistenza del soffitto, lo stesso peso specifico fatto di sorrisi, saliva e un rifugio sicuro. Pranzi, tombolate e scuse accampate pur di scappare via. La pelle di lei, i suoi gemiti, tutto era meglio di niente, e adesso gli rimaneva solo quello. Il niente.
Il telefono trillò in una tasca, il mondo non si era scordato di lui.
Forse era lei, o magari qualche parente lontano. Magari uno zio. Americano, ricco e in punto di morte.
No. Era solo il suo operatore telefonico che gli augurava un felice Natale, ricordandogli che per soli cinque euro in più avrebbe avuto tutti i giga che voleva per navigare durante le feste.
– Vaffanculo, meglio affogare.- Digrignò cercando la bottiglia di rosso.
Mezzo sorso e anche quella era andata. Prese il telecomando e accese la tv.
Una, due, tre volte. Si ricordò che non c’era corrente, l’avevano staccata. Cercò di provare un moto di disgusto per lo stronzo che gli aveva tagliato i fili proprio alla vigilia. Poi rimpianse che il giorno dopo sarebbe stato il venticinque e non poteva neanche lavorare, gli sarebbe toccato rimanersene a casa e bere vino, da solo. Sarebbe potuta andare peggio, tipo brindare con qualcuno.
Sbuffò, si alzò dal letto e in un attimo fu in strada.
L’aria era fredda, tagliava il volto come lamette arrugginite, e portava con sé l’aroma di agrumi sbucciati e il rovisto di qualche cane tra i secchioni dell’immondizia. Si accese una sigaretta stringendosi nel cappotto. L’asfalto era silenzioso eppure dai palazzi intorno a lui veniva il sommesso brusio di chiacchiere e tappi che saltano. Espirò l’ultima boccata di fumo che si aggrovigliò su se stessa salendo nella notte appena fuori l’unico bar aperto.
Entrò a testa bassa e filò al primo tavolino libero.
– ‘Sera Architetto, il solito?- Gli chiese il barista di cui non ricordava il nome, o magari non l’aveva mai saputo.
– Sì, grazie.
Si guardò intorno mentre aspettava il drink. Facce vecchie, stanche, allargavano le labbra e schioccavano lingue mandando giù stravecchi ed amari. Mani stringevano mani, labbra rispondevano auguri ad auguri, sguardi evitavano sguardi.
– Ecco qua, Architetto, il tuo Campari e vodka.- Sorrise la cameriera posando il bicchiere difronte a lui.- Buon Natale.
– Grazie…cara.- Non riusciva proprio a ricordarsi se si chiamasse Oana, Diana o con uno qualsiasi di quei nomi tanto in voga oltre la cortina.- E comunque non sono un architetto.
– Certo che lo sei.- Sorrise ancora la cameriera e se ne andò.
Ebbe il sentore che quel soprannome fosse una presa in giro. Perché lavorava in cantiere, o magari perché in più di un’occasione aveva ricordato a tutti quegli ubriaconi falliti lì seduti che almeno lui una laurea ce l’aveva. Solo che gli altri sbottavano a ridere, dandogli pacche sulle spalle e offrendogli da bere. Alla fine iniziò anche lui a dubitare d’averlo mai preso quel pezzo di carta, e chiedersi di cosa se ne fosse fatto, poi. Forse ci si era pulito il culo.
– Alla salute.- Brindò al vuoto e mandò giù il drink cercando di liberarsi da quei pensieri cancerogeni.
Le slot alle sue spalle suonavano come campane a festa. I disperati che le assediavano sbarravano gli occhi ed imprecavano come in qualsiasi altro giorno.
Dal primo all’ultimo dell’anno, stessa scena un giorno dopo l’altro. Per fortuna sullo schermo sopra il bancone passava il solito film natalizio a ricordare a tutti che quello era uno giorno speciale. Nino se lo ricordava a memoria, lo vedeva tutti gli anni da quando era piccolo. Non gli era mai piaciuto più di tanto, e poi la risata isterica di quell’attore di colore, falso invalido all’inizio del film, gli dava ai nervi, più o meno come l’idea di fondo che in un giorno speciale succede sempre qualcosa di speciale. Ordinò un altro giro e si guardò ancora intorno senza trovare nulla di speciale. Le stesse facce, gli stessi discorsi, le stesse sfighe di qualsiasi altro giorno. Eppure lui si trovava lì, in mezzo a loro.
Era forse quella la sua famiglia ora? Era come loro? Doveva brindare con loro?
Con vecchi, pazzi e beoni? Disperati gioco dipendenti ed alcolisti a tempo perso?
Erano brutti e senza scintilla negli occhi, nelle parole, eppure eccolo lì a salutarsi e scambiare quattro chiacchiere, a condividere tempo, spazio e solitudine. Tipo parenti serpenti che ti tocca sopportare.
Per quanto schifi quello che hai attorno, ce l’hai sempre attorno.
Corpi venivano ed andavano, come trascinati da una corrente invisibile.
Il film finì e c’era chi passava per un caffè dopo il cenone, chi per un amaro prima della pokerata, e chi, come lui e qualche altro, si limitava a mandar giù un bicchiere dopo l’altro.
La mente iniziò a rallentare, la palpebra a pesare, quando, d’un tratto, uno scoppio lo destò dalla sua programmata trance.
– Auguri, auguri a tutti!- Si sgolava il barista.- Questo giro l’offriamo noi.
Nino guardò l’orologio, mezzanotte ora locale.
– Ehi,- si sgolò verso il bancone – sei un po’ in ritardo.
– Che vuoi dire?- Chiese il barista intento a versare a spumante da discount in bicchieri sbeccati.- E’ mezzanotte, è nato Nostro Signore.
– Sì, ma vostro signore è nato ad un paio di fusi orari da qui. Avresti dovuto brindare due o tre ore fa.
Molti occhi si puntarono su di lui, stanchi, lucidi. Per lo più scivolarono via.
– Sei il solito stronzo.- Replicò il barista.- Per te niente champagne.
– Se quello è champagne,- fece Nino – ieri mi sono fatto Belen.
Applausi e schiamazzi soverchiarono il trambusto delle slot machine. Qualche simpaticone offrì addirittura un giro, o due. Nino ne aveva perso il conto, ne aveva perse di cose, ma la notte se ne sbatte e scivola via comunque, impassibile, immutabile.
– Allora come ti va, architetto?- Gli chiese il tizio che aveva offerto l’ultimo giro sedendosi al suo tavolo senza invito.
– Più che come toccherebbe capire dove.- Replicò lui studiando quel volto liscio.
– E comunque non sono architetto.
– Certo che lo sei!- Sghignazzò l’altro mollandogli una pacca sulla spalla.
Nino sbuffò dalle narici.
– Se mi tocchi ancora ti spacco la faccia.
Non era grosso, né eccessivamente cattivo, ma a volte bastano gli occhi ad allontanare gli scocciatori, specialmente se hanno una traccia di pazzia.
Il tizio se la filò ed il tempo riprese a scorrere liscio.
Doveva essere abbastanza tardi quando qualcosa catturò la sua attenzione.
Un paio di chiappe da urlo, strette in una minigonna jeans, si agitavano di fuori strusciando sulla vetrata del bar. Una ragazza discuteva animatamente con uno dei tanti disperati che frequentavano il bar.
– Ti ho detto di no, e mollami.- Urlò la ragazza.
Nino scolò l’ultimo goccio ed uscì fuori. Si appostò accanto ai due litiganti e si accese una sigaretta.
– E dai, Serena, che ti va. Lo so che ti va, non lo vuoi fare un po’ di zum zum con il vecchio Alfredo.
Serena aveva indosso solo quella minigonna ed un piumino da bancarella, e anche l’aria di chi attraversa la vita degli altri come un fantasma, lasciando un terrificante ricordo e nulla più.
– Appunto perché sei vecchio, lasciami stare.
I capelli erano lunghi e neri. Neri come può essere qualsiasi cattivo presagio, ma gli occhi brillavano. In quelle iridi c’era un nuovo giorno, l’orgoglio nonostante la sconfitta, il sangue che ribolle nelle vene. Qualcosa che Nino avrebbe solo potuto proiettare sul soffitto della sua camera.
– E non fare la stronza,- sibilò il vecchio, Alfredo, afferrandole un braccio – sei una puttana, no? Fammi questo bel regalo di Natale.
– Mollami, che mi fai male. Ti ho detto di no, è no.
Il vecchio alzò la mano libera per mollare un bel mal rovescio, Nino gettò la sigaretta a terra.
– Lasciala stare, ti ha detto di no.
I due si voltarono sorpresi, neanche dovessero scartare un regalo.
– Fatti gli affari tuoi.- Sibilò Serena.
– Hai sentito la zoccola?- Chiese il vecchio.- Sparisci Architetto.
La mano rugosa era pronta a calare, ma Nino fu più rapido. L’afferrò, liberò la ragazza dalla morsa sul braccio e spinse via il vecchio.
– Guarda che so difendermi da me.- Fece Serena.
– Ne sono sicuro.
Già, quegli occhi avrebbero fatto venire voglia a chiunque di perdercisi dentro. Non ne aveva il tempo però, Alfredo era un stronzo coriaceo, vecchia scuola.
– Ti sei fatto i cazzi tuoi, Architetto.
Il vecchio infilò una mano nella giacca e ne cacciò fuori una lama ben affilata. I clienti del bar guardavano tutti altrove, in fondo neanche quella era una scena tanto speciale da quelle parti. La lama scattò incontro a Nino che, pregando un dio che sarebbe dovuto già nascere da qualche ora, parecchi millenni prima, fu più rapido. Si mosse di lato e con un gancio ben assestato spedì il vecchio in un mondo in cui certe fregole si sublimano da sole.
– Porca puttana,- sbottò Serena stringendogli un braccio- l’hai sistemato per le feste, nel vero senso della parola.
Nino la guardò di traverso.
– Non usare quelle parole, non ti stanno bene.
– Che vuoi dire?
– Che sei una donna, devi mantenere una certa classe, uno stile.
Serena sorrise piantandogli lo sguardo dentro.
– Ehi, cocco, sono pur sempre una puttana.
– Anche le puttane hanno uno stile.
– Quelle che ce l’hanno fanno le veline, o il ministro.
Nino trattenne un sorriso.
– Ok, ci puoi stare, dammi una mano a sistemare il vecchio accanto ai secchioni e ti offro da bere.
Smaltito il rifiuto geriatrico si sedettero ad un tavolo e presero a bere. La ragazza era giovane ma teneva il ritmo senza problemi. Nino beveva, si sparava gli ultimi soldi e chiacchierava con lei come si conoscessero da una vita.
Musica, cinema, poesia, cazzate una dopo l’altra.
Non la vedevano allo stesso modo, anzi, diametralmente opposta, ma era piacevole parlare con un altro essere umano. Cazzo, sì, esistevano ancora.
– Vuoi dirmi che Fante non era ossessionato dal padre?- Chiese lei svuotando l’ennesimo amaro quando ormai il cielo annunciava un altro giorno di merda.
– Certo che n’era ossessionato, ma tutti abbiamo un’ossessione, e spesso la usiamo come scusa per rendere meglio in quello che facciamo.
Lei sembrò oscillare sull’incertezza di quelle parole.
– Non pensi mai a qualcuno con cui ti piaceva sul serio farlo, quando lo fai?
La domanda di Nino rimase sospesa in aria finché lei non si alzò in piedi.
– Te lo dico dopo, mi aspetti un attimo, vado in bagno e torno subito.
Fece cenno di sì e andò a pagare il conto mentre lei cercava la toilette.
I soldi non bastarono e dovette chiedere credito per gli ultimi due giri.
– Sei il solito stronzo.- Ripeté il barista.
– Probabile.- Replicò Nino uscendo fuori a fumare un’altra sigaretta.
Il nuovo giorno iniziava nel migliore dei modi: silenzio e poca gente in giro.
La vita non era poi così male, se non ci si badava troppo.
Il calore di un corpo contro il suo lo fece trasalire.
– Che vuoi fare? Andiamo da me?- Chiese Serena.
A momenti la sigaretta non gli cascò dalle labbra, mentre passava in rassegna quel corpo progettato da qualche sadico genio.
– Credevo che non volessi compagnia.
– Poche chiacchiere e più camminare.- Disse lei trascinandolo verso le case popolari vicino al mercato di quartiere.
Non parlarono lungo il tragitto. Nino si sentiva leggero, quasi inebriato. In parte per l’alcool, in parte per la prospettiva di un po’ di sesso. Quel corpo caldo incollato al suo smuoveva braci non del tutto assopite. La voglia di carne, di studiarsi a fondo, di darci dentro finché non si crolla esausti, sudati, e cazzo sì, in paradiso, lo faceva fremere come non succedeva da tempo.
Quanto tempo? Quanti Natali? Quanti risvegli in letti sconosciuti ed imbarazzanti compassioni lette in occhi estranei.
– Siamo arrivati, ti avverto, casa mia è una casino ma se non ti scandalizzi…
La voce di Serena era trillante, piena d’energia nonostante l’ora e l’alcool ingerito.
Nino fissò il portone, il vetro incastonato tra le assi di ferro, il suo riflesso.
Vide i suoi capelli allungarsi e farsi bianchi e unti. Il ventre da bevitore gonfiarsi. La barba farsi ispida e gli abiti rimanere gli stessi, solo conciati peggio, se possibile. Guardò il riflesso di lei, il loro, o un altro che non fosse il loro. Immagini che potevano essere ricordi o premonizioni. Solitudini collimate in una compensazione inutile, se non ad inacidire il bicchiere da cui a tutti tocca bere, e con cui non c’è un cazzo a cui brindare.
– Non salgo.- Disse il suo riflesso con le labbra rovinate.
– Che vuoi dire?- Stizzì lei dal vetro.
– Che non c’è niente di speciale neanche in una notte “speciale”.
– Sei uno stronzo.
– Lo dicono in tanti.
Il portone si aprì e Serena era quasi sparita dentro quando lui l’afferrò per un braccio, delicatamente.
– Buon Natale.- Disse pescando il pacchetto dalla tasca, quello che gli aveva recapitato qualcuno che non voleva avere niente a che fare con lui, non più.
– Vaffanculo.
Il portone si richiuse e Nino rimase qualche istante a fissare il suo riflesso invecchiato. Poi si aprì ancora, una mano gli strappò il pacchetto e scomparii. Era ormai giorno e quei pochi a cui toccava lavorare pure quella mattina scendevano in strada. I passi di Nino si diressero incerti verso casa. Era stanco, senza forze o idee su cosa lo aspettasse. Nulla di speciale, comunque.
– Almeno un altro Natale ce lo siamo tolto dal cazzo.