365 giorni, Libroarbitrio

Enḫeduanna & Aleramo “La nostra fiamma” per Di fiori di pesco e pagine scritte di Martina Benigni

L’Otto marzo è alle porte, si respira nell’aria, nei primi fiori che sbocciano tenaci, nonostante il freddo e la pioggia che arriva quando meno te lo aspetti, si sente nell’eco dei passi di una bambina e un bambino che hanno appena imparato a camminare, è una musica lontana, un concerto, anche se c’è chi ancora fa finta di non sentire.

Nonostante secoli di buio, violenza e negazione dell’identità della donna, c’è qualcosa che sta cambiando, c’è una rivoluzione silenziosa alla quale siamo tutte e tutti chiamati a partecipare, con tutto il cuore che serve. Ci stiamo riprendendo la libertà di Essere, di fare, di creare, libere da biechi stereotipi culturali che, frutto di menti malate, ammalano persino le acque delle fonti più limpide; stiamo riuscendo a rischiarare l’aria, sporcata da una fitta coltre di nero fumo che per poco non ci ha reso ciechi. Stiamo tornando a quell’infanzia del mondo, o “vera maturità”, forse, agli albori della storia dell’umanità, quando bastava un fuoco intorno al quale parlare per volersi bene e tre o quattro colori per dar vita a vere e proprie opere d’arte. Mi riferisco all’arte rupestre delle grotte di Altamira, per esempio, ormai ampiamente riconosciuta come opera delle donne che, lontane dalla caccia e vicine alla vita, davano voce alla loro dimensione interna attraverso delle immagini che sono molto più che semplici “raffigurazioni” della realtà materiale a loro nota, sono la rappresentazione del loro e del nostro mondo interno.

Dalle grotte di Altamira all’Antica Grecia, le cose cambiarono non di poco: la razionalità maschile aveva preso il sopravvento e alla donna, essere “inferiore per natura” secondo Aristotele, non restava che essere moglie fedele e madre, cioè garante della “continuità della specie”, proprio come un animale e non un essere umano. Questa presunta inferiorità e questa paura di fondo della donna da parte dell’uomo-razionale hanno, nei secoli, condizionato pesantemente la vita delle donne ed il rapporto stesso tra i sessi, vincolato da regole, freddi dettami, tabù e senso del peccato. Le tracce di tutto questo, purtroppo, sono evidenti anche ai giorni nostri, nel nostro civile e sviluppato ventunesimo secolo… In tutto il mondo, però, c’è un qualcosa che sta crescendo, un movimento planetario che non ha paura di affermare a gran voce che esiste una “diversità nell’uguaglianza” e che siamo tutti né più né meno che Esseri Umani. Fa strano pensare che debba essere ribadito, ma è così e finché ci sarà bisogno, saremo qui a gridarlo.


La letteratura è uno dei campi, fra i tanti, in cui le donne hanno da sempre dovuto lottare con le unghie e con i denti per affermarsi. Anche solo farsi leggere da un parente era una sfida: per secoli abbiamo lottato per poter essere riconosciute come scrittrici, per essere giudicate sulla base della bellezza della nostra penna e non sulla base della biologia dei corpi. Infiniti sono stati i tentativi di negare alla donna la parola e, dunque, la scrittura, eppure la realtà è che la prima poesia della storia dell’umanità fu scritta da una donna, Enḫeduanna (XXIV secolo a.e.c.) e dopo di lei alto si è levato il canto della poesia e della scrittura femminile in generale, nonostante i silenzi imposti, le carte bruciate, i meriti negati, e le mani sugli occhi per non leggere quelle parole così vive da far tremar le vene e i polsi.  La letteratura italiana, nello specifico, vanta tantissime scrittrici, il problema è che sono state considerate perlopiù come “penne di Serie B”, non degne di nota, e basta aprire una qualsiasi antologia letteraria per rendersene conto: delle donne non resta che uno smorto specchietto a fine pagina, in basso a destra, quasi nascosto, dopo capitoli e capitoli dedicati al D’Annunzio di turno. Tanti sarebbero i nomi da elencare, anzi, non elenchi ma veri e propri approfondimenti, pagine e pagine da dedicare a chi delle pagine ha fatto la propria vita, ma oggi voglio parlarvi di una in particolare, una vera pioniera: Sibilla Aleramo (Rina Faccio, 1876- 1960).

Sibilla Aleramo

Sibilla Aleramo è l’autrice di una vita che si fa opera letteraria con il titolo “Una donna” (1906), ad indicare l’universalità di una condizione ingiusta alla quale ribellarsi. Con grande coraggio, mette nero su bianco la sua esperienza: lo stupro a soli 15 anni, la gravidanza non voluta, il matrimonio riparatore (legge infame del nostro “Bel paese”, abolita solo nel 1981), l’asfissia tra le mura domestiche, vera e propria prigione, la violenza silenziosa, ma altrettanto dolorosa, della continua negazione della propria identità, delle continue imposizioni e, alla fine, la scrittura come mezzo per Resistere e per Essere e, dunque, per affermare il proprio diritto all’ autodeterminazione, il diritto di dire “No”, costi quel che costi.

Ho letto su diversi testi che “Una donna” è un romanzo che “tutte le donne dovrebbero leggere” e senza dubbio è così, ma penso che anche gli uomini dovrebbero farlo, anzi, sarebbe molto importante che lo facessero, quasi quanto lo sarebbe smetterla di stigmatizzare la “scrittura femminile”, quasi fosse un genere a parte, un genere da “salotto” e pagine rosa al profumo di violette e bucato appena lavato. La Scrittura è scrittura non serve aggiungere altro, è per questo che bisogna iniziare a cambiare il Pensiero, e con esso le Parole: trovare quelle giuste, scavare nella loro profondità e, se serve, dargli nuovi significati.

L’esercizio di scrittura dell’Aleramo è un potente mezzo di conoscenza ed autoconoscenza, un susseguirsi di riflessioni sui grandi temi universali, sulle responsabilità degli uomini, ma anche delle donne che spesso si lasciano vincere senza nemmeno tentare di vivere davvero, quasi la loro condizione fosse una cosa naturale. “Una donna” è vecchio di più di un secolo, eppure leggendolo non ci si sente così lontani, forse ci si sente fin troppo vicini: è un testo trasparente, comprensibile, ed in ciò risiede tutta la sua grandezza e la nostra miseria.
L’Aleramo conserva una bellezza di fondo che le permette di tendere verso ciò che tutto muove e tutto forma, il senso stesso di essere qui: “L’amore fu la ragione della mia esistenza e quella del mondo”.

C’è chi pensa che il femminismo sia una “roba da donne”, la verità è che esso è una “roba” di tutti e di tutte, è espressione dell’assoluta uguaglianza dell’essere umano uguale-diverso, è la certezza assoluta che siamo tutti e tutte uguali già dal principio perché la Nascita è uguale per tutti, in qualsiasi parte del mondo.  

Vi lascio con una sua poesia e con la certezza che sapremo Essere Esseri Umani, sempre di più.

La mia fiamma

La mia fiamma,

che niun aspro vento ha mai domata,

ancora guizza e lotta

che morte non già la trovi spenta,

accesa vuole

migrare in altra terra di sorpresa,

pendula oscillante nell’etere,

là donde venne, patria chiara,

e forse saperne il nome.

Articolo di Martina Benigni

365 giorni, Libroarbitrio

César Vallejo “E non ditemi niente”

Roma 20 dicembre 2013

César Vallejo

E non ditemi niente,
uno può tranquillamente uccidere
giacché, sudando inchiostro,
uno fa quel che può, non mi dite…

Ci rivedremo, signori, con il pomo;
tardi la creatura passerà,
l’espressione di Aristotele armata
di grandi cuori di legno,
quella di Eraclito innestata su Marx,
quella del mansueto che suona rudemente…
Proprio questo narrava la mia gola:
che urio può tranquillamente uccidere.

Signori,
Lorsignori, ci rivedremo ancora senza involti;
in allora esigo, esigerò dalla mia fragilità
l’accento del giorno, che,
a quanto vedo, mi attese lungo tempo nel mio letto.
Ed esigo dal cappello l’infausta analogia del ricordo,
giacché, a volte, assumo felicemente la mia compianta immensità,
giacché, a volte, soffoco nella voce del vicino
e patisco
contando gli anni in chicchi di granturco,
spazzolando i miei panni a suon di morto
o seduto ubriaco sul mio feretro.

Io morirò a Parigi nello scroscio
un giorno che è già vivo nel ricordo.
Io morirò a Parigi – e non mi sbaglio –
come oggi forse un giovedì d’autunno.

Il 15 aprile del 1938, César Vallejo, moriva a Parigi alle 9:20  del Venerdì Santo a quarantasei anni.
Moriva di stenti ma soprattutto moriva di dolore: “del troppo dolore accumulato nell’enorme coscienza”.

A domani
Lié Larousse

365 giorni, Libroarbitrio

Il Libertinismo

Roma 26 marzo 2013

Nato come reazione al consolidarsi dell’assolutismo monarchico e alla restaurazione di una rigidissima ortodossia da parte della riforma cattolica, che segue un periodo di profondi conflitti religiosi, il libertinismo si afferma dapprima in Francia, a partire dalla prima metà del 1600, per poi diffondersi nel resto dell’Europa.

Si tratta di una corrente filosofica che prende le mosse dalla critica dell’ortodossia  religiosa e che ha come scopo fondamentale la libertà della ragione da qualsiasi autorità.

Dal latino libertus : libertino sta ad indicare colui che è diventato libero e, quindi, che si è affrancato da ogni vincolo religioso, etico, politico, ovvero, da ogni forma di “servitù intellettuale” . Il libertinismo, comunque ,non si presenta come dottrina unitaria, ma come contenitore di idee molteplici e distinte, tutte accomunate dalla volontà di svincolare la ragione da qualsiasi dogma o condizionamento esterno.

Tra i temi centrali confluiti in tale corrente filosofica, emergono: il deismo, il panteismo, l’ateismo, la tolleranza religiosa, la riscoperta di Aristotele in chiave pagana, la teoria dell’infinità dell’universo sulle orme di Giordano Bruno, la concezione atomistica dell’uomo e del mondo che lo circonda ripresa da Epicuro, dalla quale deriva la convinzione che non vi sia alcuna vita dopo la morte.

Nel libertinismo si distinguono due fasi:
la prima, definita “radicale”, ha tra i suoi esponenti Vannini e De Viau, ove è severissima la critica a ogni forma di autorità che limiti la ragione;
la seconda, definita “erudita”, ha tra i suoi esponenti Gassedi, La Mothe, Le Vayer, ove i toni in merito alle critiche sono più concilianti, con un avvicinamento al mondo politico, che dal primo era invece contestato.

L’autore più rappresentativo del movimento è Cyrano de Bergerac, con l’avvincente rappresentazione e interpretazione del libertino secentesco Don Giovanni del 1665 di Molière, che mette in evidenza soprattutto la libertà nei costumi sessuali e la dissolutezza del protagonista.

Tuttavia il libertinismo nasce come opposizione all’assolutismo e ai dogmi religiosi in nome di un intelletto libero.

A domani

LL