Vivo in nome delle foglie,
ho nervature, cambio il verde per il giallo
e mi lascio morire nell’autunno.
In nome delle pietre vivo e mi lascio
spianato nei cubi delle strade,
percorse da macchine veloci.
Vivo in nome delle mele e ho
sei noccioli sputati in mezzo ai denti
della giovane fanciulla portata col pensiero
verso pigre danze di ebanite.
In nome dei mattoni vivo,
con bracciali di calce infilati
in ogni mano, mentre abbraccio
un possibile tuorlo di esistenza.
Mai sarò sacro. Ho molta,
troppa immaginazione
delle altre forme concrete.
E per questo non ho nemmeno tempo di riflettere
sulla mia stessa vita.
Eccomi. Vivo in nome dei cavalli.
Nitrisco. Salto alberi tagliati.
Vivo in nome degli uccelli,
ma prima di tutto in nome del volo.
Credo di avere ali, ma esse
non si vedono. Tutto per il volo.
Tutto,
per appoggiare quello che c’è
su quello che ci sarà.
Tendo una mano, che al posto di dita
ha cinque mani,
che al posto di dita
hanno cinque mani, che
al posto di dita
hanno cinque mani.
Tutto per abbracciare
minuziosamente il tutto,
per tastare i paesaggi non nati
e per graffiarli
fino al sangue con una presenza.
Tag: Anni Sessanta
Giuseppe Conte da “Le stagioni”
Roma 11 gennaio 2014
Il Poeta
Non sapevo che cosa è un poeta
quando guidavo alla guerra i carri
e il cavallo Xarìto mi parlava.
Ma è passata come una cometa
l’età ragazza di Ettore e di Achille:
non sono diventato altro che un uomo:
la mia anima si cerca ora nelle acque
e nel fuoco, nelle mille
famiglie dei fiori e degli alberi
negli eroi che io non sono
nei giardini dove tutta la pena
dì nascere e morire è così leggera.
Forse il poeta è un uomo che ha in sé
la crudele pietà di ogni primavera.
” I versi di questa poesia sono anteriori al 1983, il testo da cui sono tratti fa parte di un gruppo di poesie che ho scritto nel cuore degli Settanta, poi confluite ne L’oceano e il ragazzo. In quegli anni c’è stata una modifica del rapporto uomo-natura di carattere epocale. Noi eravamo abituati a vedere la natura più potente dell’uomo, all’improvviso ci si rivelò un mondo in cui la natura è uccisa, avvelenata, inquinata…Nelle poesie di quel tempo mi ponevo questo questo problema: come ritrovare un linguaggio della natura visto che il contatto con essa era andato perduto? E’ vero che la natura è uno dei temi più ricorrenti in poesia attraverso i secoli, ma va detto che negli anni Cinquanta e Sessanta era stato pressoché accantonato. Negli anni Settanta ho riscoperto la possibilità di parlare con la natura, non attraverso una fuga arcadica, come talvolta hanno scritto i miei detrattori, ma considerando la tragedia che sta vivendo la natura. Quindi ho scritto poesie in cui la natura sembra già morire. Ben pochi sanno che cos’è un albero, ben pochi sanno ascoltare il mare…Voglio dire che rischiamo di perdere la natura nelle sue rifrazioni sulla nostra anima, che poi è quello che conta”.
Tratto da Intervista a Giuseppe Conte,
di Luigi Cannillo e Annalisa Manstretta
A domani
Lié Larousse
Spunto di lettura:
LA BIBLIOTECA DELLE VOCI
Interviste a 25 poeti italiani
Edizioni Joker
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