365 giorni, Libroarbitrio

“Ecce Homo” il bene dirottato di Nietzsche

antonio_mora61

Nietzsche si considera un fautore del male solo in un ben preciso contesto: in contrasto con ciò che gli uomini definiscono bene. Dunque egli scrive:

Se l’animale d’armento brilla nello splendore delle più pure virtù, l’uomo eccezionale deve per forza essere degradato a malvagio.
Se la falsità pretende a ogni costo che la sua ottica sia chiamata “verità” , l’uomo propriamente veritiero lo ritroveremo sotto i nomi peggiori.

Ecce homo è l’ultima opera compiuta di Nietzsche prima della follia, scritta, nelle sue grandi linee, in tre settimane di immensa esaltazione dell’autunno 1888, a Torino. La pubblicazione di questo testo fu ritardata dalla sorella fino al 1908 – e non è difficile intuirne la ragione: in poche pagine qui Nietzsche pone le esigenze estreme del suo pensiero, esaspera i termini dell’accusa e dell’affermazione; fra l’altro è la Germania, e soprattutto lo spirito dell’Impero germanico, a essere qui vittima di un attacco che per virulenza e acutezza non è stato finora superato. Ma dietro questa drasticità della formulazione, dietro il grandioso gesto teatrale che regge il tutto, molte cose sono da scoprire in questo testo misterioso, dove Nietzsche stesso vuole configurare il proprio destino, dove anche la sua arte labirintica dà una prova suprema – e non meraviglia che molti si siano spersi nei meandri di queste poche pagine. Di fatto, Ecce homo è stato sempre uno dei testi più dibattuti di Nietzsche, di esso sono state proposte le definizioni più discordanti: proclama cosmico? documento psicopatologico? autoritratto? pamphletantitedesco?
Certo è che quest’opera è un unicum e con essa deve confrontarsi alla fine chiunque si avvicini a Nietzsche: vi troverà un essere che con la sfrontatezza del buffone e del veggente annuncia cose che in buona parte aspettano ancora di essere capite.

365 giorni, Libroarbitrio

Edgar Lee Masters “Theodore il poeta”

Roma 16 settembre 2013

Edgar Lee Masters

Theodore il poeta

Da ragazzo, Theodore, sedevi per lunghe ore

sulle rive del torbido Spoon

con gli occhi profondi fissi sulla tana  del gambero,

aspettando che apparisse spingendo la testa,

prima le antenne ondeggianti, come fili di fieno,

e poi il corpo, colorato come steatite,

gemmato con occhi di giada.

e ti domandavi, come rapito,

che cosa sapeva, che cosa desiderava, e perché mai vivesse.

Ma più tardi guardasti uomini e donne

nascosti nelle tane del fato fra grandi città,

osservando le loro anime uscire,

in modo da poter vedere

come vivevano, e per che cosa,

e perché strisciassero così in faccende

sulla distesa di sabbia dove l’acqua vien meno

quando l’estate declina.

Theodore il poeta, Edgar Lee Masters

A domani

LL