365 giorni, Libroarbitrio

I Lunedì di LuccAutori -La nostra rosa – Enrico Valdès

mammina

Fu il suo regalo per il compleanno della madre, quando lui aveva vent’anni, un vaso fiorito di rose gialle, bordate di scuro e profumate.
Luca abitava con la famiglia in un appartamento in città, poco adatto però alle esigenze di aria e sole della piccola pianta.
Sua madre la curava con sollecitudine e la teneva nella stanza più luminosa, le attenzioni erano tante, ma la piantina non cresceva, le foglie si raggrinzivano e cadevano. Era destinata a seccarsi.
In giugno la famiglia si trasferì nella casa al mare e, con loro, si spostò anche quel vaso con i suoi deboli rametti spinosi.
In un angolo del giardino la rosa venne messa in piena terra, era l’ultimo tentativo per farla sopravvivere.
Ogni mattina la madre la scrutava ansiosa, sperando che la linfa vitale non si fosse esaurita, e in luglio, come per miracolo, la piantina riprese forza, spuntarono nuove gemme, foglie e fiori profumati.
“Vedi, – disse la madre a Luca – la rosa non si è arresa.”
Passarono le stagioni, la piantina divenne pianta, il giardiniere la potava e diventò forte, con spine acuminate e fioriture esuberanti.
Faceva parte oramai del giardino, era come se da sempre fosse esistita là, ed era lei la preferita della madre, che l’aveva salvata con le sue cure.
Con la rosa lei e Luca avevano un legame speciale, un vincolo non detto tra madre e figlio.
Molti anni, boccioli, petali e profumo.
Ogni volta che Luca entrava nel giardino il suo sguardo correva alla rosa e al ricordo dei suoi vent’anni. Con la madre passavano là davanti e si fermavano, felici o tristi, parlavano o tacevano.
Luca diventò adulto e la madre anziana, indebolita dalle malattie, camminava con difficoltà ma, quando il figlio le era accanto, si sentiva forte e non si lamentava di alcuna sofferenza.
Gli ultimi anni li trascorse tra poltrona e letto, senza mai abbandonare il suo sguardo coraggioso e dolce.
L’ultima sua estate, dal letto chiese a Luca di sollevarla, di metterla seduta.
“Cosa vuoi fare?” lui le domandò.
“Vorrei vedere la nostra rosa.”
Era la prima volta che la chiamava “la nostra”, e lui ne fu colpito, si commosse, i suoi occhi divennero lucidi.
Lei osservò a lungo la rosa da lontano. Era fiorita.
“Vorrei sentirne il profumo.” gli disse.
Luca l’accontentò e, tra le sue mani dalla pelle sottile, ne mise un bocciolo.
Lei l’aspirò,“Che bel profumo, – disse – senti.” e Luca si avvicinò, le trattenne le mani tra le sue e respirò l’aroma del “loro” fiore.
Erano passati dieci anni da quando la madre se ne era andata, portando via con sé quel suo speciale sorriso, e tutto cambiò.
Cambiò anche il giardino della casa al mare, con nuovi alberi, nuovi cespugli e nuovi rampicanti.
La terra venne smossa, rivoltata attorno alla rosa, che soffrì e divenne spoglia.
Giunse l’estate, il sole prosciugò le zolle, della pianta rimasero tre soli rami nudi, e il giardiniere disse che, forse, non si sarebbe ripresa.
Vicino a essa un prato verde, piante e fiori rigogliosi, solo la rosa era inerte, come senza vita, ma l’acqua tornò a dissetare il terreno e le sue radici.
Luca ogni giorno la guardava con speranza, e infine spuntò un germoglio, poi ne vennero altri, e ancora giovani foglie. Comparve per ultimo un bocciolo come quello che sua madre tenne un giorno tra le mani, con lo stesso profumo, e Luca risentì la voce di lei.

Aiutami, – mi chiese –
sollevami dal letto,
voglio veder la rosa
che un giorno mi donasti.”

Crebbe laggiù la pianta,
con spine e verdi foglie,
con boccioli e con petali,
gialli e di scuro orlati.

Rinascono ogni anno,
e ancora qua profumano.
Era la nostra rosa,
ricordo di mia madre.

Racconto “La nostra rosa”  scritto da Enrico Valdès
scelto da DuediRipicca
per la rubrica “I lunedì di LuccAutori”

****
Potete acquistare il volume dei racconti vincitori del Premio
“Racconti nella Rete 2016”
edito da Nottetempo, a cura di Demetrio Brandi,
in tutte le librerie a distribuzione nazionale
oppure on line al link di seguito
http://www.edizioninottetempo.it/it/prodotto/racconti-nella-rete-2016

autori-vari-nottetempo-duediripicca

365 giorni, Libroarbitrio

I Lunedì di LuccAutori – Un banchetto diverso – Andrea Mauri

milo-manara-salome

Melanie decise che il banchetto di nozze si sarebbe tenuto lo stesso.
Poteva tornare a casa a piangere senza ritegno davanti a uno specchio rigato e scrostato, che non sopportava più? Impossibile. Le ributtavano quelle venature nere del cristallo che le deformavano i lineamenti, anche quando ce la metteva tutta ad apparire presentabile.
Poteva  rimettere piede nella sua stanza per piangere tutto il pomeriggio? Impensabile. Aveva sborsato buona parte dei risparmi  per truccarsi come la sposa dell’ultima puntata della soap. E non avrebbe accettato che quel trucco si dileguasse nel liquido della disperazione. Anche se il lavoro di Chantal era venuto male, perché su di lei il nero pece del rimmel stonava.
Di nuovo il pianto infinito a bagnare la sua stanza? Improbabile. Avrebbe rovinato l’abito e l’organza leggera e bianca, che rischiavano in quel modo di trasformarsi in un impasto giallastro. Melanie detestava quell’umido acido degli occhi, che corrodeva guance e stoffa.

Sul sagrato della chiesa, dentro la solitudine dell’abito da sposa, si sentì una stupida a sperare che Robert sarebbe cambiato il giorno delle nozze. Lei se l’era preso così, belloccio e amante dei pub. Non era propriamente il modello di uomo presentato nella soap preferita, ma bastava un mazzo di fiori portato al pranzo della domenica a farle immaginare l’amore per tutta la vita.
Era ormai sola davanti al portone sbarrato della chiesa. Il padre l’aveva abbandonata per andare a ubriacarsi in qualche pub della zona, a cancellare l’onta familiare. Come avrebbe potuto immaginare che Robert si sarebbe presentato all’altare dopo la notte brava dell’addio al celibato? In fondo se l’era scelto come suo padre, ubriacone come lui. Nella speranza di faticare meno a conoscerlo. Nell’auspicio di gestirlo meglio nel vizio, che era di casa. Era stata un’ingenua, si era lasciata abbindolare dai fiori domenicali e dal silenzio paterno, che aveva interpretato come un consenso, mentre era piuttosto il sospetto nei confronti di una persona troppo simile a lui che stava per entrare in famiglia. Melanie aveva dato troppo peso alle parole di Robert, alla vigilia della cerimonia nuziale. Aveva creduto alle rassicurazioni del suo uomo, che le prometteva un addio al celibato sottotono. E che ce l’avrebbe messa tutta a controllarsi sull’alcool, perché l’indomani aveva l’intenzione di presentarsi fresco e sbarbato all’appuntamento più importante della sua vita. Proprio così, Robert disse a Melanie che le nozze sarebbero state l’appuntamento più importante della sua vita. Più importante dell’alcool? , chiese Melanie. Più importante dell’alcool, rispose Robert.
L’abito da sposa sotto il sole estivo cominciava ad appassire, mentre Melanie ancora non si capacitava perché non avesse preso esempio dalle ragazze della soap, scaltre e furbe, invece di credere a quei finti mazzi di fiori come ricompensa di un amore monco. Alzò lo sguardo dal sagrato, pieno di compassione. C’erano ancora gli altri invitati, che si dileguarono in fretta. Ben presto intorno a lei si fece il deserto. Non c’era più nessuno da guardare.
Ci doveva essere una soluzione. Per prima cosa giurò a se stessa, su quel sagrato che cominciava a scottare come pietra infernale, che non avrebbe mai più visto una puntata di quella soap, che le aveva procurato solo disgrazie. Poi, considerato che tutti gli invitati si erano dissolti nell’afa, scese di corsa la scalinata, gustando il piacere di sollevare la parte inferiore dell’abito bianco per non inciampare. Sentiva fluire nel corpo l’energia delle lacrime che aveva deciso di non versare. Si fece accompagnare dalla limousine in città. Sapeva dove dirigersi. Quando era di turno nell’associazione, portava i pasti a chi non aveva un luogo dove rifugiarsi, a chi viveva dentro scatole di cartone. Negli angoli dimenticati della città, tra uomini e donne cancellati agli sguardi degli altri, Melanie distribuì gli inviti per il banchetto di nozze, raccomandandosi del passaparola, perché ci sarebbe stato cibo per tutti.
La sala del ristorante, rivestita in legno e con il tetto spiovente da tipico chalet di montagna, si riempì presto di tanta gente con il sorriso sulle labbra. All’ingresso si formò un tappo di stupore. Quelli che entravano, si paralizzavano sull’uscio fulminati dall’abbondanza della tavola imbandita e sorpresi da un’orchestrina che suonava lo swing. Si sedettero alla rinfusa, senza nemmeno avere il tempo di capire che cosa stesse accadendo. Con piglio veloce e professionale i camerieri portarono vassoi ricolmi di carne e pesce.  Melanie non rinunciò a fare la sposa, passando da un tavolo all’altro a salutare i nuovi amici e raccontargli la sua storia. Nel frattempo i bambini urlavano e molestavano i cinque componenti dell’orchestrina. I più temerari alternavano piatti abbondanti a passi di danza jazz, rock, swing. Ballava anche la sposa. Si faceva accompagnare dai ballerini più scatenati e si chiedeva  tra una nota e l’altra a che cosa le sarebbe servito un fidanzato che non sapeva divertirsi. L’immagine di Robert che la prendeva sottobraccio con la sua aria di straniamento e il mazzo di fiori appassito tra le mani le si era piazzata davanti agli occhi. Ma non le rovinò la serata, perché il banchetto divenne spassoso, soprattutto quando a ballare furono tutti i suoi amici, grandi e piccini. Volti solari, rughe di gioia sulla pelle incrostata dal freddo e dal caldo. Corpi appesantiti dalla vita che si muovevano spensierati al centro della sala. Melanie sollevò l’abito da sposa oltre il consentito, mentre con la mano libera fece scivolare il velo, che lanciò in aria. Planò sulla testa di una ragazza giovane, dagli occhi vivaci, che si emozionò al sentire il capo avvolgersi nella leggerezza dell’organza.
I festeggiamenti del mancato matrimonio proseguirono a lungo. Nessuno degli invitati volle tornare tra i cartoni a passare la notte. Per rendere omaggio a Melanie, decisero di rimanere a dormire nella sala del ristorante, tutti insieme, per non spezzare la magia della giornata. Prima di addormentarsi però la pregarono di rimanere con loro. Vollero sincerarsi di trovarla lì, l’indomani mattina, al risveglio, per essere certi che quel banchetto di nozze non fosse stato solo un bel sogno.

Racconto “Un banchetto diverso”  scritto da Andrea Mauri
scelto da DuediRipicca
per la rubrica “Il lunedì di LuccAutori”

****
Potete acquistare il volume dei racconti vincitori del Premio
“Racconti nella Rete 2016”
edito da Nottetempo, a cura di Demetrio Brandi
in tutte le librerie a distribuzione nazionale

autori-vari-nottetempo-duediripicca

365 giorni, Libroarbitrio

Pezzi di allora – Andreas Finottis

Rick Genest

In certe cose ci si perde e ci si ritrova
contemporaneamente,
si perde quello che si è diventati
e si ritrova quello che si era.

Sono cose non cose queste.

Sono attimi eterni ma sfuggenti
che restano dentro
durando per tutta la vita
nascosti, poi appaiono all’improvviso.

Ogni tanto ne vedo qualcuno
appare, scompare,
evanescente
fantasma della mente
ricordi, sono quel pezzo di tempo
con tutto il contorno
odori, sapori, rumori
sensazioni, pensieri
c’è tutto e mi porta dentro
questa bolla di spazio/tempo
estasiandomi
per sparire all’improvviso
per lasciarmi
deluso
frastornato
nel 2016
cercando
di trovare ancora
quei fantasmi.

Li cerco, nei vecchi bar
tra sentieri di terra battuta verso i boschi
lungo i fossi tra il gracidare delle rane
negli angoli dimenticati dei parchi pubblici
e in ogni luogo in cui vedo un filo
che parte dalla realtà
per allontanarsi verso il sogno.