365 giorni, Libroarbitrio

I Lunedì di LuccAutori – Rapina goffa -Francesco Bianchi

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Belin come sparano bene quelli! Eppure ero ben nascosto dietro il bancone. Mi sono sollevato solo un momento per sbirciare al di là e… Cristo come brucia! Il mio braccio mi fa un male cane, e sanguino, mi gira la testa. Sono nella merda! Merda nera. Ma cosa credevo di fare? Cosa mi è venuto in mente? Le rapine sono per quelli con i coglioni veri sotto, non per i coglioni e basta come me. Lì per lì sembrava una buona idea. Ti procuri una pistola, cinque minuti di adrenalina ed è fatta, e avrei messo a posto i miei casini. Invece come ogni volta che prendo un’iniziativa io, si complica tutto. A cominciare da quel carabiniere, non poteva farsi i cazzi suoi? No! Doveva fare l’eroe. Mi si butta addosso e cerca di disarmarmi. Io non volevo sparare, il colpo è partito da solo, e l’ho preso in pieno! E adesso i suoi colleghi sono appostati là fuori, e se solo provo a tirare su la testa me la fanno saltare, questo è sicuro. Che male la ferita, e non riesco a fermare l’emorragia. E poi che genialata. Rapinare proprio la filiale Carige dove ho il conto, bravo Eugenio, bella pensata. Ma il direttore mi sta proprio sul cazzo, soprattutto perché si è rifiutato di concedermi il prestito. E’ anche colpa sua se mi ritrovo in questa situazione. Guardalo lì ora, tutta la sua spocchia è sparita.

-Non è vero Direttore? Dico a te!-
-Se ne sta lì tutto rannicchiato a frignare come un poppante-

Il telefono vicino alla scrivania, suona.

-Che faccio, rispondo?-

-Pronto? Si, no io so perfettamente quello che sto facendo. Si esco fuori, non voglio farmi ammazzare come un cane. Si il carabiniere è già morto, e ricordatevi che ho ancora un ostaggio con me. Bravo, il direttore. Anzi, se non volete che accoppi pure lui, fatemi uscire di qui. Voglio un’auto che mi porti via, mi porto l’ostaggio e i soldi, e non dovete seguirmi fino a che non mi sentirò al sicuro. Ecco bravo. Si ti do’ cinque minuti-

Voglio un’auto? Non seguitemi? E poi dove vado? Non sono mica Al Pacino. Belin, che situazione! Toh, mi è sembrato che il carabiniere si muovesse. Aspetta un po’. Si, si muove, allora non è morto. Certo che se resta ancora un po’ lì a sanguinare… Devo fare qualcosa, ma cosa? Chiamo l’ambulanza, perché no? Aspetta un attimo, ho sentito un rumore, si, sento dei passi, mi devo alzare, vedere cosa succede. Le gambe mi tremano, ho perso un sacco di sangue. Oh Cristo, e quelli chi sono, le teste di cuoio? Sono già entrati, e ora che faccio? E cosa faccio, mi arrendo, ce n’è già uno che mi ha individuato e mi punta contro un mitra. Alzo le mani.

Il soldato ha visto il carabiniere. Adesso mi viene incontro. Meno male, in fondo vada come vada, basta che questa storia finisca. Ma che fa? La pistola l’ho buttata, mi arrendo non vedi le mani in alto? Prende la mira, ma perché?

-No, non sparare il carabiniere non è morto! E’ stato un incidente-

Il soldato solleva la visiera dell’elmetto, e osserva il carabiniere agonizzante. Raccoglie la mia pistola.

-Questo qui? E non è ancora morto?

Il soldato punta l’arma contro il carabiniere e bang, gli spara in testa.

-Adesso lo è!-

Un altro soldato arriva e osserva la scena, si avvicina, mi guarda un attimo poi si volta verso il compare. Parlano sembrano eccitati, si mettono a ridere.

-Ma che fanno? Si portano via i soldi del Caveau? Ma che poliziotti sono? Se prima ero nella merda, ora ci sto affogando dentro. Ora sono pure legato come un salame, e vicino c’ho pure quello stronzo di direttore che mi guarda esterrefatto, e puzza pure come una capra-

I due soldati tornano con delle grosse sacche rigonfie di soldi. I due si guardano per un attimo e poi uno dei due annuisce. Sempre con la mia pistola la punta contro il direttore. Urlo con tutta la voce che ho in corpo.

-No!-

Il soldato ha sparato. Schizzi di sangue e cervello tutti addosso e ora tocca a me non ci sono santi.

-Eddai! Spara e facciamola finita-

Il soldato apre la mia pistola e toglie i proiettili rimasti nel caricatore, se li mette in tasca. Poi con un taglierino mi slega e mi consegna la pistola. Si allontana ridacchiando.

-Ora sono tutti cazzi tuoi, imbranato!-

Il soldato solleva l’auricolare che aveva puntato nel petto.

-E’ ben asserragliato, ha ucciso il carabiniere e l’ostaggio. Noi ci ritiriamo, non possiamo fare nulla dalla nostra posizione. Si, è sotto al bancone. Si, lacrimogeni e irruzione, passo-

Il figlio di puttana mi guarda ancora una volta e mi fa un ironico saluto militare. Tutti e due scompaiono nel retro. Ancora rumoredi passi. Questa volta sono tanti. Arrivano i primi due lacrimogeni, e già non ci vedo più un tubo. Un altro soldato o quello che è fa capolino dal bancone, mi vede. Non so perché ma mi viene da ridere e gli punto la mia pistola scarica contro. Il suo fucile da assalto però non lo è, e mi spara addosso una bella scarica di proiettili contro. E mi centra, in pieno. Non sento dolore, solo che faccio fatica a respirare. Guardo la faccia del direttore stecchito a fianco a me, pare che anche lui mi guardi, con la lingua di fuori fa veramente ridere. L’irreprensibile direttore, una vita per il lavoro, e a che cazzo ti è servito? A crepare, proprio come me, criminaluccio da quattro soldi e disoccupato cronico. Strade diverse, stesso destino. Non male come consolazione. Mi viene ancora da ridere, ma se lo faccio mi brucia il petto. Anzi no, ora non sento più nulla.

Racconto “Rapina goffa” scritto da Francesco Bianchi
scelto da DuediRipicca
per la rubrica “I Lunedì di LuccAutori”

Opera pittorica – Giustiziato a morte – Pawel Kuczynski

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