Oltrepassavano i muri con i loro suoni, cadenzati e acuti, inseguendosi nell’aria fino ad arrivarle alle orecchie. Ascoltarli, era quello che più le piaceva sentire, quando la mattina tornava su questa dimensione. Ogni giorno era l’inizio di una avventura nuova, non si aspettava niente, ma era certa che tutto fosse là ad aspettarla. Un tintinnio di porcellana, due donne, le loro voci lontane quel che bastava per non sentire le parole. Profumi di timo, pomodoro a soffriggere, odori che arrivavano lenti e intensi fin dentro il sonno della domenica. Uno sbattere di sportello, frammenti di risate, rumori di passi, in cucina la vita era già iniziata, mentre, accovacciata tra le lenzuola, assaporava le impronte dei sogni appena lasciati.
La luce filtrava decisa dalle persiane verdi a indicare che ora di alzarsi, eppure, Caterina, preferiva indugiare, come se avesse paura di consumare troppo in fretta la giornata, o che essa, vivendola, deludesse le aspettative che in quel momento erano lì custodite e da ammirare.
Era un rito alzarsi, poggiare i piedi sulle mattonelle fresche, indugiare a sentire l’aria sulle gambe, il tempo fresco e dilatato dei giorni di festa.
L’armadio bianco a tre ante era posto davanti al letto, leggero e incombente allo stesso tempo.
Caterina apriva le finestre per lasciare entrare la luce naturale del giorno e il cinguettio degli uccelli sembrava invadere la camera insieme al caldo del sole dei primi giorni d’estate.
Ora avrebbe avuto tutto il tempo per “ammirare” quel piccolo tesoro, distribuito, sui due ripiani a sinistra dell’armadio.
Nel momento in cui si aprivano le ante il profumo di lavanda e di canfora anticipava, alla vista, quello spettacolo di colori.
Scatole fiorite, buste lucide, pile di asciugamani rilegate con fiocchi rosa e bianchi, lenzuola ricamate, “strofinacci” da cucina, con disegni naif, che portavano lontano la fantasia.
Quando le mani arrivavano a poggiarsi sulla prima pila di spugna, indugiavano ad accarezzare quella morbidezza, ogni colore pareva dare sulla pelle una sensazione diversa.
Poi con cura, Caterina, cominciava ad appoggiare le scatole ancora chiuse sul letto, alcune contenevano camicie da notte ricamate, forse da riservare ai viaggi o a quando sarebbe diventata mamma. Le camicie di seta, invece, scappavano dalle mani un po’ tremanti per la paura di sciuparle, cangiavano alla luce e la voglia di indossarne qualcuna e guardarsi allo specchio era troppo grande ogni volta. Ve ne era una in particolare, color amarena, che metteva in risalto la sua pelle bianca, sembrava un vestito da sera, era bello specchiarsi e riconoscersi.
Successivamente, con lentezza e soddisfazione, le riponeva nelle scatole raccogliendole nella velina, uno scricchiolio lieve nel ripiegare i suoi tesori.
A seguire tirava fuori i completi da cucina e le lenzuola, quando voleva essere più audace, le portava al viso per annusarne l’essenza fiorita della vita futura.
Quali tavole avrebbero apparecchiato quelle tovaglie? quali letti avrebbero abitato le lenzuola?
Il cuore sembrava scorrere dal petto alla gola e dalla gola al petto, quando sentiva un rumore arrivava inaspettato, indugiava qualche minuto e quando era certa di non essere sentita, con delicatezza, riponeva tutto al suo posto nell’armadio: “i loro incontri dovevano rimanere segreti”.
Quando la nonna portava a casa un nuovo pezzo del corredo, Caterina si sentiva orgogliosa, sapeva che ella aveva fiducia in lei, che la riteneva importante come donna e come portatrice di vita. La nonna sapeva che avrebbe mutato forma un giorno, che forse sul momento non l’avrebbe capito appieno quel gesto, ma sentiva che ne stava cogliendo l’importanza.
Aveva traslocato dalla casa della sua infanzia ormai da anni e fu così impegnata a vivere, che non si accorse del tempo che passava veloce, parte del corredo fu usato, altro andò materialmente perduto, eppure, si rese conto che il ricordo che restava di esso lo sorpassava, oltre le stagioni e i ricordi, il gesto, restava indelebile.
Caterina aveva sviluppato la consapevolezza che il “corredo” non sarebbe mai andato perduto, che la cura con la quale era stato messo da parte, anno dopo anno, fino ad arrivare a lei una volta diventata grande, le aveva dato la sicurezza e la fiducia, che le generazioni che l’avevano preceduto la stessero pensando e le dessero sostegno.
Spostandosi in uno spazio speciale ringraziò sua nonna e capì quando le diceva: “Ti verrò in mente tante volte e dirai, la mia nonna aveva ragione”. La nonna ne aveva già fatto esperienza e con amore lo comunicava a quella bambina che con gratitudine avrebbe tramandato il suo corredo.
Racconto “Il corredo” scritto da Giusi Scerri
scelto da DuediRipicca
per la rubrica “I Lunedì di LuccAutori”
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