365 giorni, Libroarbitrio

L’inquieto poeta

Roma 5 aprile 2013

La letteratura seicentesca affina l’idea di donna  come unica vera  protagonista indifferentemente che essa sia mendicante, cortigiana frustata o spiritata, ma non solo, questa è l’epoca della creazione delle basi ideologiche di quegli autori, personaggi artistici vari, che tra un secolo circa saranno i “nuovi pensatori” .

Così in bilico tra l’essere poeta, cortigiano e segretario personale, in stretta relazione con le avventure letterarie di questo secolo, vive l’inquieto Girolamo Preti.

Le sue “Rime”, pubblicate a Venezia nel 1614 ebbero varie edizioni, nel 1623 ristampate a Perugia acquisirono il titolo di “Poesie” dopo l’aggiunta di alcuni scritti. Di derivazione classica, ma rinnovata da una personale esperienza, visse tra le corti di Ferrara e di Torino ove però era sempre a rimpiangere le usanze di coloro che, correndo tra i campi, godevano di una vita libera dalle dipendenze aristocratiche.

Vi sono alcuni temi che passano da un canzoniere all’altro e che il poeta s’impegna a descrivere variando l’ordine, la lunghezza e la posizione del suo commento. Questo nuovo stile sperimentale verrà chiamato “impresa”. Tali “imprese”  sono la combinazione tra elementi letterari, rappresentazione figurativa, motti e ammonimenti simbolici, che si distendono e si continuano in in una insistente applicazione e riduzione nella pagina.

Anche il Prati sarà dedito con originali sforzi stilistici a rifarsi alle basi del concettismo, come abbiamo letto ieri,  serviranno allo scrittore e alla sua storia a  raccogliere ed unificare tutti questi elementi e lo farà soprattutto nell’affrontare i due ricorrenti temi dell’oriuolo e delle rovine, allarga il primo in una successione descrittiva e moraleggiante insieme, nell’ampiezza di sette ottave mentre restringe il secondo nella ingegnosa interruzione degli endecasillabi di un sonetto.

A domani

LL