Roma 14 marzo 2013
La commedia dell’arte fiorisce nel 1545 che è la data di fondazione della prima compagnia comica.
Famiglie di attori, persino dinastie, fioriscono a metà del cinquecento formando le compagnie dei comici. Essi possono recitare per il pubblico, ma si appoggiano a una corte o a un potente protettore, lo studio è quello di creare uno spettacolo prima di interpretare un testo: “ogni attore deve creare se stesso come attore”.
Le loro maschere o personaggi si diffonderanno poi per tutto il mondo e avranno la loro consacrazione figurativa nei balli di Sfessania del Callot. Questo è il frutto di personalissimi interventi degli attori e insieme opere collettive, da questo concetto nasce il bisogno di caratterizzare socialmente e linguisticamente i personaggi, dal tentativo di inventare dei tipi che possano essere ricreati dalla personalità dei grandi attori.
Alcune maschere hanno hanno un particolare significato storico, come quella del capitano, che esprime la satira popolare contro il prepotente gradasso, specialmente ma non soltanto spagnolo, o anche come la maschera del dottor Ballanzon o di Graziano, che esprime la satira contro la cultura vuota e ingannevole. Soprattutto agli inizi del secolo gli attori tendono a fare di se stessi una maschera: Angelo Costantini diventa Mezzettino, Carlo Cantù diventa Buffetto, Nicolò Barbieri diventa Beltrame, Francesco Andreini diventa il capitano Spavento.
La commedia dell’arte e la parola comico non indicavano in senso stretto la commedia, ma l’arte di recitare e le composizioni teatrali anche drammatiche. La commedia dell’arte italiana ha certo consacrato la separazione fra il teatro recitato e il teatro scritto. Tuttavia essa nasce dall’incontro della cultura letteraria con tradizioni teatrali, dalla mescolanza di forme liriche romanzesche e realistiche .
In Italia i comici dell’arte hanno una coscienza culturale e da loro nasce anche un teatro scritto, troviamo così prova nella prima raccolta di scenari nel Teatro delle favole rappresentate di Flaminio Scala pubblicato nel 1611.
A domani
LL